Sono trascorsi un paio di mesi dall’uscita nelle sale di Jurassic World, la grande febbre dell’attesa è passata e ormai in molti hanno visto il film. O meglio, moltissimi: la pellicola è attualmente registrata come il terzo migliore incasso nella storia del cinema. Ma un risultato positivo su questo fronte era in fondo prevedibile, considerando le grandi aspettative e il fascino intramontabile della saga.
Il parco dei dinosauri è riproposto dopo ventidue anni e, per la prima volta, lo si può ammirare pienamente funzionante, così come lo aveva sognato il suo ideatore John Hammond. Se i due precedenti episodi avevano spostato l’ambientazione su una seconda isola, in questo caso lo spettatore è riportato lì dove tutto era cominciato, a Isla Nublar. Un aspetto senza dubbio interessante per rinnovare i motivi di attenzione nei confronti di un prodotto a cui ormai ci eravamo abituati e che rischiava di apparire per certi versi datato. E l’assuefazione alla meraviglia si ritrova negli stessi visitatori dell’immaginaria struttura: il parco ha ormai perso l’attrattiva tipica della novità e la sete di spettacolo esige sempre più grandiosità, straordinarietà, più denti. E così ecco servito il “fattore wow”: il terrificante Indominus Rex. Figlio dell’unione in laboratorio di diversi DNA e pensato per essere la principale attrazione, il mostro inevitabilmente si ribella e sfugge al controllo umano, seminando morte e distruzione.
Proprio il parallelismo fra le aspettative dei visitatori fittizi e le attese degli spettatori reali suggerisce allora una ulteriore linea di paragone fra i creatori del parco e quelli del film: come gli eccessi dei primi determinano conseguenze catastrofiche, anche le esagerazioni dei secondi sembrano davvero sfuggire di mano. Ne risulta infatti un sacrificio della trama a vantaggio della sola spettacolarità. Pure i personaggi, uno dei punti di forza del primo Jurassic Park, appaiono fin da subito inconsistenti e stereotipati. Diverse scene si rivelano prevedibili, e la loro banalità non è ben chiaro fino a che punto potrebbe essere autoironica. Senza dubbio, poi, si sarebbe potuta giocare meglio la valida carta degli inevitabili richiami all’opera del 1993.
Non tutto è però negativo, l’intrattenimento e la godibilità di certo non mancano. Ma i denti da soli chiaramente non bastano; anzi, quando sono troppi possono essere dannosi. Insomma, le idee per proporre contenuti di qualità, effetti speciali a parte, in effetti scarseggiano e per un eventuale già annunciato quinto capitolo sarà necessario qualche colpo di genio. Se Jurassic World ci ha insegnato qualcosa, non si faccia l’errore di creare un nuovo Indominus Rex!
di Elia Giovanaz e Gabriele Zancanella
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