Percorrendo più di venti mila chilometri, viaggiando fra Russia, Mongolia e Cina, in tre mesi ho incontrato un numero illimitato di viaggiatori. Tutti della mia generazione, anni Ottanta, ognuno spinto da motivazioni che si accomunano a seconda della società di provenienza. La nazionalità che immancabilmente s’incontra è israeliana. In ogni ostello in qualsiasi parte del mondo, si incontrano giovani israeliani: un esercito di ragazzi e ragazze che vogliono una lunga pausa lontano da casa per provare una sensazione di libertà. All’età di vent’anni queste persone sono costrette ad arruolarsi nell’esercito, gli uomini per tre anni, le donne per due anni (ventun mesi).
Quello di Israele è oggi il secondo esercito più forte del mondo, nato nel 1948 per difendere l’indipendenza del paese. All’occorrenza, mi spiega Noe un’amica ventisettenne di Tel Aviv che mi ha accompagnato nelle riflessioni più intime di un giovane prima, durante e dopo la leva, l’esercito può arruolare più del doppio delle forze grazie ad un numero elevato di riservisti.
Donne che a vent’anni imparano a maneggiare un’arma, ragazze e ragazzi che controllano se sospettosi palestinesi varcano la soglia, giovani obbligati a formarsi con il “complesso della violenza” e a guardare all’immigrato come ad una prossima possibile vittima. «L’esercito – mi dice Noe – è uno stato nello stato. Non difende il paese, ma lo costruisce. Non difende le persone che vi ci abitano, ma le forma.»
Come lei un’intera generazione d’israeliani è in viaggio per guardarsi con occhi differenti grazie al confronto continuo e alle diversità che incontrano. Il loro è un viaggio lontano da casa per riuscire a riavvicinarsi ad essa, a riappropriarsene. La volontà di ognuno infatti è quella di ritornare in Israele per cercare un luogo confortevole che sia immune dall’influenza militare.
Delle voci speranzose, ma piene di illusione per la consapevolezza della loro impotenza davanti ad una simile causa. Delle voci sognatrici, lontane da ambizioni professionali, alla ricerca di un posto ideale, fuori e dentro se stessi, dove seguire semplicemente la propria umanità, buona e differente da quella insegnata dal proprio maestro.
Per approfondire consiglio il sito della ONG Breaking the Silence che raccoglie tutte le testimonianze di giovani israeliani.
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