Il 30 novembre al Teatro sociale di Trento, nell’ambito della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, si è tenuto lo spettacolo “Artemisia Gentileschi. La forza dal dolore”.
Artemisia è forse la più importante pittrice italiana. Figlia del pittore Orazio Gentileschi, superò il padre in maestria ed arte tanto da essere la prima donna iscritta all’accademia del disegno di Firenze, fu chiamata nelle principali corti italiane (Firenze, Roma, Napoli) ed europee, lavorò alla corte di Carlo I in Inghilterra.Una vita indipendente e libera, non solo per una donna del ‘600 ma anche per la realtà di oggi.
Artemisia Gentileschi in un autoritratto del 1615.
Ma dove Artemisia ha saputo trarre tale forza? Il titolo dello spettacolo suggerisce che essa sgorga dal dolore, dal dolore più grande che una donna possa vivere: lo stupro. Fu violentata da Agostino Tassi, suo insegnante di prospettiva e caro amico di suo padre. Artemisia denunciò la violenza subita e fu sottoposta ad un umiliante processo. Dovette subire l’onta di più di una pubblica visita ginecologica e fu costretta a confermare la deposizione resa sotto tortura: fu sottoposta alla sibilla, che consisteva nell’avvolgere le falangi alla base delle dita con cordicelle che venivano strette sempre di più fino a stritolarle. Avrebbe potuto perdere le dita per sempre, un danno incalcolabile per una pittrice della sua levatura.
Eppure Artemisia non si fermò di fronte a nulla, confermò la sua deposizione; nonostante i dolori e le umiliazioni rimase centrata in se stessa, ferma nella certezza della sua innocenza: Agostino era l’imputato. Lei la vittima.
“Susanna e i vecchioni” 1610. Collezione Graf von Schönborn, Pommersfelden, Germania.
Sono passati quatto secoli e troppo poco è cambiato. Ancora oggi, sono troppi gli uomini che pensano di poter disporre a loro piacimento del corpo delle donne. Ancora oggi, sono troppe le donne che subendo molestie o violenze di qualsiasi genere, non riescono a riconoscersi fino in fondo il ruolo di vittime, ma pensano di avere una qualche colpa, che forse hanno fatto qualcosa di sbagliato, che forse il fatto non è poi così grave.
“Giuditta che decapita Oloferne”, 1620, Uffizi, Firenze
Artemisia ci insegna a non tacere, a denunciare, a camminare a testa alta, lei, che sola ha attraversato l’Europa. Ma, a mio avviso, la cosa che la rende speciale, quella che noi donne di oggi dovremo imparare da lei, è il modo in cui ha saputo portare il dolore, senza negarlo, ma integrandolo nella sua vita: Artemisia ha preso il suo dolore e lo ha reso Arte.
mercoledì 30 Ottobre 2024
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