Quando ci viene “affidato” un bene altrui, dovremmo cercare di custodirlo garantendone l’incolumità fisica. Se il bene altrui è un minore in difficoltà (quindi un bene con la B maiuscola), serviranno anche intelligenza, cura e riserbo.
L’affidamento di un minore prevede l’inserimento transitorio di un bambino nel proprio nucleo.
Secondo i dati della Fondazione Zancan, l’affido di minori è in calo continuo (-4,4% dal 2008 al 2010) e quelli maggiormente disposti dal sistema giudiziario sono “d’urgenza” (69%) o “parziali” (solo diurni). I dati europei, secondo cui un affido di successo è quello che si conclude con il rientro del minore nella famiglia d’origine, mostrano il risultato sconcertante delle politiche scelte: il 70% degli affidi fallisce.
La questione pare rilevante: strumento sbagliato o sbagliato uso del giusto strumento? In Italia la legge che regola l’affido (n.184) risale al 1983 e solo nel 2008 il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali ha individuato nuove linee di indirizzo nazionale per innovare questa pratica.
Sorvolando su dettagli quali la spesa dedicata alla protezione dell’infanzia (4.6% del totale del Welfare contro l’8% di media UE), appare importante tenere conto di un terzo attore: la famiglia d’origine. Questa dovrebbe essere fortemente seguita, accompagnata nella risoluzione del problema che ha generato l’allontanamento del minore. L’affido deciso dal tribunale, però, viene spesso considerato la via meno onerosa per la risoluzione dell’urgenza.
Eppure muoversi su altre strade è possibile, come dimostra il progetto Una famiglia per una famiglia, della Fondazione Paideia di Torino. Ad un nucleo familiare in difficoltà viene affiancata una famiglia “risorsa”, per costruire una relazione solidale e di prossimità.
Grazie a tale percorso, la prima non viene stigmatizzata ma diviene elemento partecipe di un percorso di crescita comune (oltre che necessario). Questa scelta, permette anche di non allontanare il minore, ma di lavorare sulle risorse positive disponibili. Il progetto è evidentemente legato al consenso di entrambi i nuclei e alle specifiche caratteristiche del problema.
Nel mondo che vorrei, l’affido sarebbe una strada da percorrere a doppio senso: sarebbe possibile per ogni minore godere del meglio dalle realtà possibili (d’origine e non). La prossimità con una realtà familiare serena, condurrebbe allo sviluppo di maggiore fiducia in se stessi e negli altri.
Nel mondo che vorrei, non ci sarebbero buoni e cattivi, ma solo difficoltà da affrontare insieme.
mercoledì 30 Ottobre 2024
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