Premessa. L’opera racconta la storia di Antigone, che decide di dare sepoltura al cadavere del fratello Polinice contro la volontà del nuovo re di Tebe Creonte. Scoperta, Antigone viene condannata dal re a vivere il resto dei suoi giorni imprigionata in una grotta. In seguito alle profezie dell’indovino Tiresia e alle suppliche del coro, Creonte decide infine di liberarla, ma troppo tardi, perché Antigone nel frattempo si è impiccata. Questo porta al suicidio il figlio di Creonte, Emone (promesso sposo di Antigone), e poi la moglie di Creonte, Euridice, lasciando Creonte solo a maledire la propria stoltezza*.
Il dramma entra nel vivo di diversi temi: autorità, ribellione, convenzioni sociali legate al ruolo femminile; ma quello che sento più pregnante è quello della legittimità della legge del diritto positivo.
Sì, perché i contrasti più accessi di tutta la tragedia sviscerano proprio questo: Antigone, dando degna sepoltura al fratello Polinice, decide di anteporre le leggi divine (quelle immutabili degli dei) a quelle umane, ovvero all’editto di Creonte che ordinava di non farlo.
Dandone una rilettura in chiave moderna, quante volte nella quotidianità non ho il coraggio di questa donna? Quante volte per comodità, superficialità e frenesia non mi fermo un attimo e penso a cosa sia giusto secondo me (sempre se di giustizia si possa parlare) prima di agire solo perché mi viene detto che si deve fare così? Solo perché, pur di non entrare in conflitto con chi ho davanti, preferisco assecondarlo e non espormi?
Questo collegamento mi è venuto alla mente tempo fa, studiando sociologia del diritto, quando ho affrontato il tema della colpa nei gerarchi nazisti: eseguivano degli ordini impartiti dai loro superiori, colpevoli o meri esecutori innocenti? Si aprano le danze per un dibattito senza fine!
Io riporto gli insegnamenti dell’opera sofoclea alla mia quotidianità, desidero tendere a una vita autentica e il più possibile consapevole: mi ispiro ad Antigone e scelgo di ascoltare, sempre di più, quello che dice la legge del mio cuore (= ciò che sento vero per me), a fidarmi di me stessa, anche quando questo sembra andare contro chissà quale regola dell’ultim’ora della società in cui vivo. E òso, òso gridandolo al vento.
*da wikipedia.it, consultato il 7 novembre 2014.
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