Stefania Casagrande, infermiera dell’ospedale Santa Chiara di Trento, in questo periodo ha prestato servizio all’interno del reparto anestesia e terapia intensiva, dove le forze si sono unite per fronteggiare al meglio l’emergenza Covid-19. All’alba della cosiddetta “Fase 2”, in cui ognuno di noi si appresta ad uscire dal periodo di isolamento per affacciarsi a quello della convivenza con questo virus, la curva dei contagi sembra essere in calo. Questo però non significa abbassare la guardia, le parole di Stefania ci aiutano a tenere sempre saldo in mente il valore della prevenzione, attuabile tramite semplici, piccoli, gesti quotidiani.
Prima di tutto: come stai? Com’è concretamente la vita di chi, come te, in questo periodo lavora in un reparto che si occupa direttamente della gestione di quest’emergenza?
«Mi sento stanca, fisicamente e psicologicamente. Con il camice, le mascherine, i guanti e gli occhialoni/visiera oltre al caldo si hanno pure i movimenti limitati, meno sensibilità tattile e tutto diventa più ovattato quindi la concentrazione deve raddoppiare. Il momento della “svestizione”, dove finalmente torni ad essere un essere umano, è quello più critico. Si è sfiniti e non si vede l’ora di tornare a far respirare la faccia, di bere e fare cose banali come andare in bagno. Non si può avere fretta però, bisogna togliersi i vari strati secondo un attento ordine, anche se la tentazione di strappare via dal volto quella ignobile mascherina è tanta! Poi soprattutto ci sono loro: le persone. Molti hanno visto aggravarsi la polmonite a tal punto da sentirsi soffocare, da dover essere intubate. Sono sole, in terapia intensiva. Ci siamo noi che ci giriamo attorno come satelliti, lottando per loro e con loro. È difficile anche vedere i medici che si prendono il tempo per prepararsi alle telefonate da fare alle famiglie di queste persone, che vivono non solo la frustrazione di non poter fare niente ma anche la difficoltà di non poter vedere i loro cari, nemmeno per un ultimo saluto. Vorrei poter dire alle famiglie dei malati che, nonostante le mille e più cose che ci troviamo a dover fare, i loro cari non sono mai soli. Ci siamo noi al loro fianco, sempre».
C’è qualche pensiero che ti piacerebbe condividere con chi in questo momento vive la quarantena da casa?
«L’ineluttabilità la si respira, ci avvolge come una coperta indesiderata e non ci lascia andare, a volte nemmeno per un momento. Vi prego, aiutateci attenendovi alle regole, sembra di non far niente invece state salvando il paese assieme a noi».
Una volta finito il turno, nei momenti in cui è possibile fermarsi a prendere fiato, come fai a “staccare la spina”?
«Prima di tutto questo, sapevo di poter contare sulla famiglia e gli amici, adesso nemmeno più quello, sarebbe troppo rischioso. I colleghi sono le uniche persone con cui condividere la situazione e il fatto che stiano vivendo la stessa cosa aiuta molto. La collaborazione è al top, non potrei essere più orgogliosa di loro. Lo sono pure del lavoro che faccio, che ho scelto tanti anni fa e che sceglierei ancora e ancora. Non ero pronta ad una situazione del genere, non mi vergogno ad ammetterlo, ma sono felice di contribuire e fare tutto quello che posso finché riesco. Con questo pensiero tornare a casa la sera diventa un filo più accettabile. Anche se si è da soli, tenendo tutti lontani per paura di trasmettere il maledetto virus. Anche noi abbiamo bisogno di un abbraccio, ora più che mai. Ma va bene così, non molliamo. Mai».
mercoledì 30 Ottobre 2024
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