La corsa allo spazio. Con questo nome è nota la grande stagione dell’esplorazione spaziale negli anni Cinquanta e Sessanta. Fu un campo di contesa importante tra le due superpotenze della Guerra Fredda, USA e URSS. Come scrivevano due ufficiali della CIA in un articolo pubblicato nel 1961, l’esplorazione dello spazio è per le grandi potenze quello che un torneo di football è per un college: essere primi nello sport non dovrebbe essere lo scopo principale di un college, eppure si fa di tutto per vincere. È una questione di prestigio e di spettacolo.
Ci sono oggi le condizioni per una corsa – o almeno una passeggiata – su Marte? Sembrerebbe di no. Rispetto a cinquant’anni fa è andato perso quell’entusiasmo per il nuovo rappresentato dall’esplorazione dello spazio. Non c’è più un boom economico a dare la spinta, ma piuttosto una crisi finanziaria che frena. Non c’è più l’idea che le risorse della Terra siano illimitate. Non c’è più una corsa contro il tempo tra due soli sfidanti, ma – e questo invece è positivo – un’atmosfera più collaborativa e distesa dovuta ai molti paesi ormai in gioco.
Negli anni scorsi si sono vanificati tanti progetti e annunci sensazionalistici. Società come MarsOne, che promettevano una colonizzazione di Marte nel 2027, sono andate in bancarotta. Elon Musk ha provato a rilanciare l’idea di un insediamento su Marte, dando numeri poco plausibili. Bisogna però ammettere che qualche risultato lo ha portato a casa: un primo prototipo per Marte è stato testato con successo ad agosto di quest’anno. In ogni caso, sembra ormai assodato che il ritorno sulla Luna, se non la sua colonizzazione, dovrà essere una tappa imprescindibile per pensare di raggiungere Marte.
Ecco però l’inghippo: colonizzare un pianeta (o un satellite) è cosa molto diversa da una missione. Implica tempo. Implica pazienza. Implica molte persone disposte a vivere per mesi, anni, in una specie di esilio. La NASA e le altre agenzie spaziali sanno che la sfida si gioca quindi a livello di resistenza psicologica e di risposta emotiva: per questo si sono susseguite, in anni recenti, tante simulazioni, volte a capire come si può comportare un equipaggio o un gruppo di coloni in condizione di isolamento. (Chissà se il distanziamento sociale ai tempi del CoVid-19 ha fornito alle agenzie ulteriori dati da elaborare.)
In un documentario dal titolo “Expedition New Earth”, Stephen Hawking congettura che l’umanità abbia tempo circa un secolo per colonizzare un altro pianeta, altrimenti è condannata ad estinguersi. Per quanto i contorni di questi scenari apocalittici ci sembrino ancora poco nitidi (senza nulla togliere all’autorevolezza di Hawking), le parole dello scienziato ci ricordano una cosa: che le migrazioni sono il passato, il presente e il futuro dell’umanità.
Allora alla fine sì, forse tornerà il tempo della corsa allo spazio. Un tempo non più di tornei tra superpotenze, ma un tempo di cambiamenti per l’umanità e il suo futuro.
mercoledì 30 Ottobre 2024
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