Succedeva tutti i giorni. Doveva succedere. Quello era l’iter – nel suo significato più vero.
Sveglia prima dell’alba, banali rituali tipo lavarsi la faccia, vestirsi e fare colazione senza entusiasmo e senza appetito. Quattro parole con papà, giacca, zaino e via. 5 minuti di strada, 3 dei quali in salita perché era solo l’inizio della giornata. E poi lì.
«Ciao», «Ciao», «Buongiorno». E di nuovo silenzio sul mondo. A parte il rumore di qualche macchina o dei mezzi pesanti che sfrecciavano e spettinavano le facce. E alle 6 e 45, minuto su, minuto giù, la corriera arrivava. Destinazione: la città. Anzi no, la scuola. Che era in città, ma della città non vedevi niente, perché dopo un’ora circa – per coprire 25 km – l’unica cosa che incrociavi quando scendevi erano gli sguardi, un po’ più svegli del tuo, nel breve tragitto fermata – scuola.
Passavano 6 ore e ricominciava tutto al contrario. Camminata veloce per divincolarsi tra la folla nei corridoi e arrivare alla fermata con la giusta tranquillità che ti faceva scrutare l’orizzonte fin dal cancello, temendo che la “tua” fosse già in partenza. Un’altra ora abbondante e «Ciao, grazie, buona giornata» al conducente. Poi la discesa, questa volta sì, verso casa, dove la nonna aspettava con il pranzo pronto e il Tg3 in sottofondo.
IL viaggio, per 5 lunghi anni. Lo è stato per me, per i miei coetanei, per chi l’aveva fatto prima, e lo è ancora oggi per tutti quelli che da paesi e valli raggiungono i centri più grandi.
C’erano giorni in cui la tua amica aveva provato a tenere un posto per te, ma lo aveva dovuto lasciare a qualcun altro. C’erano giorni in cui salivi e chiacchieravi del nulla o della vita. C’erano giorni in cui non vedevi l’ora di sederti, dare una cuffia all’amica di cui sopra e chiudere di nuovo gli occhi. C’erano giorni in cui ti prendeva l’ansia e quel tempo diventava prezioso perché una ripassata male non faceva. C’era chi, come te, si arrabattava per arrivare a scuola. Chi non si stancava di raccontare cose nuove, o forse vecchie, all’autista. Chi, ogni mattina formulava invettive contro il mondo. Chi, al ritorno, portava spese formato famiglia che occupavano minimo due posti.
Soft skills acquisite: pazienza, resistenza, voglia di crescere.
Sono garantiti: ricordi più e meno piacevoli.
A distanza di anni, solo dopo aver superato l’hangover, ho scelto diverse volte di spostarmi in bus nei miei viaggi, optando spesso per quella compagnia low cost che ha fatto il boom. Sapendo di dover affrontare tutto con più calma rispetto a quello che potresti fare con un aereo, se la tua meta è, per esempio, il profondo nord della Germania, trovo sia davvero un modo bello e alternativo di viaggiare.
Pochi giorni fa ho visto un libro dal titolo: “La felicità viaggia in corriera” (Paolo Merlini, Ediciclo Editore). Non escludo di comprarlo. Perché non so se sia proprio e solo così, ma credo che un po’ di verità ci sia anche lì.
mercoledì 30 Ottobre 2024
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