Immaginiamo un peso che pende da un gancio: in questa condizione esso soffre, perché la sua natura lo porta a tendere verso il basso e quindi a desiderare i punti dello spazio che si trovano ad un livello inferiore. La legge della sua vita è la legge di gravità; la sua vita è la brama di scendere.
Immaginiamo ora di soddisfare il suo desiderio: lo liberiamo e lo lasciamo raggiungere quel punto dello spazio tanto desiderato. Nella discesa il peso sente la propria vita realizzarsi e quel bisogno di scendere viene appagato dal raggiungimento della meta. Ma, una volta fermatosi nuovamente, il desiderio si riaccende ed il peso si ritrova di nuovo disperato, attanagliato dai morsi della fame del discendere. Il suo desiderare è una spirale infinita: ogni punto dello spazio che potrà raggiungere non sarà mai sufficiente a soddisfare il suo bisogno, perché ne esisterà sempre uno ad un livello inferiore.
Se anche immaginassimo di mettere fine a questo folle inseguimento e di dare al peso tutta in una volta la soddisfazione di cui ha bisogno, gli faremmo un torto ancora più grande: il peso non sarebbe più quello che è, ovvero, appunto, un peso. La sua esistenza è questo desiderio di scendere, questo essere soggetto alla legge di gravità, tanto che liberarlo da essa equivarrebbe a togliergli la vita. In tal modo, il peso stesso è la causa della propria disperazione: la sua natura gli impedisce di essere felice.
Con questa metafora si apre l’opera principale di Carlo Michelstaedter, La persuasione e la rettorica. Con essa il Goriziano descrive la propria visione della vita e, in particolare, la condizione dell’uomo, il quale, come il peso, «non può mai essere persuaso».
Con “persuasione” Michelstaedter intende la capacità di ribellarsi a quel gioco crudele, governato dalla volontà di vivere, che spinge l’uomo ad inseguire se stesso in una spirale infinita di bisogni, soddisfazioni e nuovi bisogni che non lo portano a nulla. Per riuscirci, egli deve fare qualcosa di impossibile: da un lato continuare a vivere e dall’altro annullare la propria volontà, che è la sua vita stessa. Egli deve quindi allo stesso tempo vivere e smettere di vivere. In una parola, deve diventare Dio.
Quella della persuasione è quindi una via vertiginosa. Non tutti hanno il coraggio di affrontarla e, anzi, la maggior parte degli uomini si rifiuta di imboccarla o si stanca lungo il percorso. Ecco che allora questi pavidi hanno trovato un’altra via, un modo per nascondere la propria nullità e fingere a se stessi e agli altri gli aspetti della persuasione. Tale è la recita della società civile, con le sue convenzioni, sicurezze e finzioni, che permettono all’uomo di illudersi di essere qualcuno e mascherare il nulla della propria vita. Questa è la via della “rettorica” e questa l’umanità che essa crea: un’orda di spettri, vuoti, che inseguono se stessi in una folle corsa attraverso il mondo ed incontro alla morte.
Michelstaedter ci lascia così in questo tragico imbarazzo: persuasione o rettorica? A noi la scelta.
Carlo Michelstaedter, La persuasione e la rettorica, Adelphi
mercoledì 30 Ottobre 2024
Twitter:
mercoledì 30 Ottobre 2024