A microfoni spenti, bandiere dismesse, polemiche placate e serrande riaperte, dopo il 1° maggio la battaglia per il diritto al lavoro riprende la sua corsa ad ostacoli.
Di lavoro si parla al lavoro, con gli amici, in famiglia, al bar. Al lavoro si pensa, sia quando manca sia quando c’è ma non soddisfa. Con il lavoro si vive, si sopravvive. Per il lavoro si studia, si viaggia, si rinuncia, si spera, si accettano compromessi, si suda, si muore. Dal lavoro si dipende, sempre. È per questo che i Padri Fondatori l’hanno impresso nel Primo dei 139 articoli della Costituzione Italiana.
L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro.
Il lavoro è il tema caldo su cui si giocano partite sociali e politiche: da un lato si fanno barricate in difesa della storica conquista dell’art.18, un po’ impolverato e bistrattato; dall’altro si inneggia alla flessibilità estrema, chiave di successo del futuro economico di ogni dove.
Intanto molti lavoratori continuano a guardare l’orologio in attesa che il loro turno finisca, per poter tornare a casa, per poter andare in palestra, per potersi abbandonare a un pisolino. E non perché il loro lavoro non gli piaccia, anzi. Molti amano ciò che fanno (o non ne sono propriamente schifati), però preferirebbero un po’ più di aria per vivere. E non solo più soldi.
La vera rivoluzione è il lavoro per obiettivi. Arrivare in ufficio, in fabbrica, in azienda e sapere di avere 3 traguardi da raggiungere nell’arco della giornata, per poi andare via: chi temporeggerebbe? Chi farebbe mille pause caffè, simulerebbe incontinenza cronica, fumerebbe otto pacchetti di sigarette o darebbe così tanta acqua alle piante da fargli credere di essere in piena tempesta tropicale? A nulla servirà riesumare vecchi miti né rincorrere nuove chimere liberiste. Il successo di un’impresa dipenderà dalla felicità di chi ci lavora dentro e se oggi tutto assomiglia un po’ (troppo) ai domiciliari, altro che nobilitarsi.
Oggi molti luoghi di lavoro sono pessimi contenitori di persone e strangolatori di idee e il cinismo di alcuni capi, bramosi di possedere il tempo dei propri dipendenti più che interessati a ciò che producono, si traduce in pressione psicologica e stress. E alla fine un pugno di potere vale più di un sacco di diritti.
mercoledì 30 Ottobre 2024
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