In principio era il Milan. O meglio era Ruud Gullit. Poi, per merito di quei capelli solo suoi, è stata la Sampdoria. Ma è durato tutto molto poco. Fino a quando, anche io, sono stata risucchiata nella voragine in cui era ormai coinvolta quasi tutta la mia numerosissima famiglia, con zii, zie, cugini e cugine. E così partite viste al bar, con un rigoroso gelato tra il primo e il secondo tempo; “Quelli che il calcio”, “90° minuto”, “Studio Sport” e “La Gazzetta”. Crescendo, anche radiocronache, qualche incursione durante i ritiri estivi e qualche trasferta allo stadio. Tanta sofferenza, assieme a qualche gioia.
Mica solo calcio però. Il Giro d’Italia faceva proprio primavera, altro che le rondini. La tappa, il “Processo” e gli approfondimenti della sera. La pallavolo, con l’ascesa della squadra locale, ha voluto dire domeniche al palazzetto, la ricerca di un bar che trasmettesse la prima finale scudetto mentre ero fuori città, momenti di festa e momenti di maggiore riflessione. Se c’erano le Olimpiadi, la televisione era sempre su quel canale lì. A volte buttavo un occhio al tennis, al basket, al nuoto, ai tuffi e a quello che c’era, senza le conoscenze necessarie. Per qualche mese mi è sembrata interessante anche la Formula Uno, ma quello forse non era amore vero.
Sport, assolutamente e convintamente passivo. Certo, giocavo a calcio, ma solo durante la ricreazione. I miei compagni piuttosto preparati, e io che invece ero pronta più che altro ad esultare in caso di goal secondo la moda del momento. Sapevo riconoscere un “fuorigioco”, ma dal gioco, quello che prevedeva allenamenti, gare e una certa disciplina, ci restavo fuori. Pensandoci oggi un po’ mi dispiace, ma probabilmente doveva andare così.
Diventata più grande, ho perso quella pigrizia mista a goffaggine che mi caratterizzava, ed essere attiva, passeggiare e persino faticare non mi spiace per niente. Di fatto però lo sport che pratico è molto meno di quello che seguo. Pur interessandomi a fasi alterne, continuo ad essere affascinata dalle storie di chi lo sport lo fa e di chi lo sa raccontare, con passione e competenza.
Continuo ad emozionarmi in caso di vittoria della “mia” squadra e ad avere la pelle d’oca quando riscopro che l’allenamento, la tenacia, ma soprattutto il cuore, possono portare lontano. Così succede che in questa sera in cui faccio zapping per avere qualcosa in sottofondo mentre scrivo, mi fermo lì, sulla finale di Champions League [finale 2018-19 N.d.R.], anche se stanno giocando squadre che conosco poco.
E succede che arrivo in fondo a questo pezzo senza aver detto di essere profondamente interista e con la convinzione di chi vuole tenere testa a quelli che sostengono che «una donna di calcio non dovrebbe parlare».
P.S. Il goal decisivo questa sera l’ha segnato Origi. Ha le treccine come Gullit, solo un po’ più corte.
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mercoledì 30 Ottobre 2024