Al museo Diocesano di Trento rimarrà esposta, per un periodo di circa cinque mesi, la mostra “Fratelli e sorelle: racconti dal carcere” di Silvia Camporesi, attinente al tema delle carceri. La fotografa, nata nel 1973 e laureata in filosofia, vive e lavora a Forlì. Attraverso il linguaggio della fotografia costruisce racconti che traggono spunto dalla vita reale.Le fotografie esposte sono state scattate nella prigione dell’isola di Pianosa (LI), dismessa dal 2011. Una volta abbandonata ci si è voluti assicurare che rimanesse per sempre in quelle condizioni: il servizio fotografico realizzato a posteriori è quindi assolutamente realistico.
La mostra è strutturata nella seguente maniera: le opere, appese alle pareti, sono collocate a debita distanza l’una dall’altra e, accompagnate dalla propria didascalia, occupano tutto lo spazio a disposizione. Le luci tenui e la musica di sottofondo aiutano l’osservatore a lasciarsi coinvolgere in maniera più intensa da quelle immagini crude e toccanti. Tali capolavori rappresentano per lo più letti, mensole, bottiglie … ovvero tracce di vita di persone che scontavano in quella struttura la loro pena.
L’artista, per dar vita alle sue opere, usa una tecnica piuttosto particolare: prima si reca sul luogo per fotografare in bianco e nero ciò che più la colpisce, e poi, nel suo studio, dà un tocco di colore e di vivacità, trasformando il suo lavoro in fotografie, se possibile, ancora più toccanti che coinvolgono ed emozionano il pubblico.
In particolare la fotografia che più mi è piaciuta è quella che rappresenta i muri sporchi, scrostati e ammuffiti di una cella su cui, però, troneggiano i disegni di un Cristo in croce e di una rosa, realizzati da uno dei detenuti che lì ha soggiornato. Penso che, nella disgrazia, questa persona abbia trovato nella fede un conforto morale per riuscire ad andare avanti giorno per giorno nella dura quotidianità della vita carceraria.
In conclusione affermo che la mostra è davvero interessante per ogni tipo di pubblico, dà molti spunti di riflessione e crea conoscenza di luoghi di vita che spesso rimangono nell’ombra. Non si deve però dimenticare che anche dietro a quelle mura ci sono uomini e donne, “fratelli e sorelle” con i loro sogni e le loro speranze, anime e cuori che battono …
In concreto va detto che, per aiutare queste persone a rimettersi in carreggiata, una società civile, che tale voglia definirsi, non deve “ghettizzarle” ma, attraverso la rieducazione e la formazione, anche professionale, deve fare il possibile per reinserirle nella società. Infatti anche chi ha sbagliato ha diritto ad avere un’altra chance nella vita. Tutti, anche gli “ultimi”, sono comunque persone con una loro umanità e dignità e perciò vanno rispettate, in quanto, secondo me, in ogni persona bene e male convivono. È importante quindi cercare di tirare fuori, anche da costoro, la parte migliore.
Ha ragione Lev Tolstoj quando afferma che “… non si può distruggere il male con il male”.
mercoledì 30 Ottobre 2024
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