Si è detto e si dirà molto, in questi giorni, sulla lunga pausa di riflessione che il mondo è costretto a prendersi, causa coronavirus. È stato osservato quanto questa crisi mondiale abbia messo definitivamente in luce tutta la fragilità del vigente modello di globalizzazione dei mercati. Nel momento in cui l’epidemia è dilagata in Italia, tramutandosi da semplice notizia sui giornali a realtà ormai tangibile e innegabile, si è riscontrato che non sempre responsabilità e senso civico hanno la meglio. Da allora, è stata un’escalation. Che ha raggiunto il culmine, per ora, nell’estensione della zona rossa, con le limitazioni che ciò comporta, all’intero territorio nazionale.
Quest’ultimo evento, così come le immagini di supermercati e treni assaltati, di strade e piazze vuote, di scuole e università chiuse, ha reso più che mai palese una cosa nuova a molti della nostra generazione: parlando con molte persone, il sentimento predominante che è emerso è quello dello sconcerto dinanzi al mondo che si ferma. Un’eventualità che non siamo abituati ad affrontare. Fatta eccezione per terremoti e calamità naturali, siamo soliti considerare le tragedie come qualcosa di personale, che avviene nella sfera privata. Si può subire un lutto, soffrire di un’infermità, fare incidenti e commettere errori anche gravi, ma è tutto vita nostra, coinvolge tutt’al più i nostri cari, una cerchia intima e ristretta. Ma il mondo, quello c’è, va avanti, continua a scorrere all’esterno di noi quasi trascinato da forza propria. Ora ci rendiamo conto che non necessariamente è così. Anche il mondo esterno, la sfera pubblica, non è qualcosa di dato, esistente e funzionante in ogni caso, talvolta anche prepotente, ma su cui possiamo sempre fare affidamento.
E questo potrebbe farci interrogare su che cosa rappresenta per noi questa sfera pubblica, il mondo dell’interazione sociale. È un qualcosa da sfruttare in modo utilitaristico, ma da disconoscere rifugiandosi nell’individualismo alla prima occasione in cui si richieda un sacrificio in difesa di quella collettività di cui siamo parte? O piuttosto una realtà da costruire costantemente, con le scelte e le azioni di ciascuno?
E così, paradossalmente, in questi giorni un gesto di rinuncia come scegliere di restare a casa può rivelarsi una manifestazione del nostro vivere e sentire sociale e civile. Possiamo cogliere la “quarantena” come un’occasione per ripartire e riscoprire, da casa, il nostro essere cittadini. Di più: possiamo fare un altro passo e renderci conto di quanto errata sia la percezione che notizie provenienti da lontano non ci riguardino. Scoprire che non sono sempre gli altri, ma che i mali e i problemi di ogni parte del mondo si ripercuotono anche sulla nostra quotidianità, può farci riaprire gli occhi sul nostro essere cittadini del mondo. Abbiamo la prova che davvero una farfalla che batte le ali in estremo oriente può provocare un uragano all’altro capo del pianeta (e viceversa).
mercoledì 30 Ottobre 2024
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