Secondo il rapporto di maggio stilato dal Consiglio d’Europa (Council of Europe Annual Penal Statistic) i detenuti nelle carceri italiane sono 65.891, ben 20.000 in più rispetto alla capacità degli stabili.
Presidente della Repubblica Napolitano e Unione Europea ricordano al Governo che è una vera e propria emergenza, per detenuti e polizia penitenziaria.
La maggior parte delle carceri italiane non sono, purtroppo, quelle simpatiche caffetterie in franchising con la ricetta del “Signor Cicirinella” – «compagno di cella ci ha dato mammà» – che abbiamo spesso canticchiato con Fabrizio (De Andrè). Nulla vieta che possano diventarlo.
Il lavoro nobilita e risolve problemi di spazio, il Ministero della Giustizia ha precisato i numeri. Dati alla mano e occhi sbarrati: i detenuti che hanno svolto attività lavorativa retribuita in carcere hanno una recidività del 2% , contro il 90% di chi non è stato incluso in un percorso formativo e lavorativo.
Squillino le trombe! Ecco due percentuali che possono far spalancare le falangi anche a chi non si accontenta di argomenti quali diritti inviolabili, rieducazione secondo la Costituzione(art. 27) e salvaguardia della dignità.
Nel mondo che vorrei, nei penitenziari vedremmo esseri umani impegnati a svolgere attività educative e lavorative regolari (full time e secondo CCNL). Il tutto sarebbe utile a rifondare lo Stato del costo della detenzione, ma soprattutto renderebbe la persona consapevole delle proprie capacità. Una volta uscita avrebbe una buona carta da giocare e non sarebbe un gioco d’azzardo.
Nelle carceri del mondo che vorrei la regola di gestione avrebbe la rima: investo nella formazione per ottenere spazio e occupazione, dentro e fuori la prigione.
Nel mondo che vorrei, dignità umana e riduzione dei numeri migliorerebbero anche l’atmosfera: le guardie penitenziarie non soffrirebbero di altissimi livelli di burnout.
Ho visto un pezzo del mondo che vorrei nel progetto Liberamensa della Cooperativa Ecosol di Torino, dove 22 detenuti sono formati e assunti per preparare catering esterni. Firmano un contratto e acquisiscono professionalità di cuochi e ristoratori, capacità spendibili appena scontata la pena (preconcetti dei futuri datori permettendo).
Anche 20 detenute del carcere di Lecce possono ritenersi fortunate grazie al progetto Made in Carcere, della Coop. sociale Officina Creativa. Vengono creati accessori “utili e futili” (come da loro sito Web) attraverso l’uso di materiali di scarto di Case di Moda italiane. Sono prodotti di qualità che odorano di sociale.
Nell’attesa del mondo che vorrei, mi informo sulle piccole esperienze nazionali e provo a fare acquisti in modo consapevole (se non altro per dare il buon esempio).
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giovedì 26 Dicembre 2024