Uomini, prima che calciatori

«È tutto negli occhi. E non dico solo del dolore o della sofferenza. Parlo anche della sete di vittoria, del fuoco che spinge tutti questi ragazzi a scalare furiosamente una montagna. Come ha detto, con una certa eleganza, il mio amico Rigo Zimmerman, è attraverso gli occhi che ogni ciclista viene veramente riconosciuto dai suoi tifosi, che conquista la loro ammirazione. E che può vincere, o perdere una corsa. Non si può amare veramente un atleta se non si riesce a vedere dentro alla sua anima, se il suo cuore non viene messo a nudo. Per innamorarci delle star che ammiriamo in tv abbiamo bisogno di trovare in quegli eroi qualcosa di noi stessi, o almeno di qualcosa di quello che desideriamo essere».

Le parole che avete appena letto appartengono a Tao Geoghegan Hart, vincitore del Giro d’Italia 2020. Mi sono tornate in mente in questi giorni, leggendo le notizie di calciomercato, in particolare quelle legate all’affaire Lukaku. In breve: nel 2021, dopo aver contribuito alla vittoria dello scudetto ed esser stato eletto miglior giocatore della Serie A, tradisce le speranze interiste accettando un’offerta monstre del Chelsea; al Chelsea non trova un ambiente favorevole, così sposta (o, meglio, fa spostare) mari e monti per riuscire a tornare all’Inter che, nonostante tutto, nel 2022 lo accoglie nuovamente a San Siro; estate 2023, Lukaku non risponde né ai compagni di squadra né alla dirigenza nerazzurra e questa, esasperata, comunica al belga che non farà più parte del progetto interista.

Questa vicenda può suscitare tanti pensieri, ma i non censurabili sono solo due. Uno, mi dispiace per chi aveva perdonato Lukaku. Io la seconda occasione non gliel’avrei mai concessa, quindi il suo comportamento non mi tange, anzi: mi sembra perfettamente coerente con la sfera valoriale di un giocatore che ha baciato e subito dopo lasciato quattro maglie diverse (Everton, Manchester United, Inter e Chelsea).

Due, è triste che nel calcio di oggi non esistano più bandiere e che non ci si possa più affezionare a un giocatore, sapendo che da un momento all’altro potrebbe lasciare la squadra per soldi o per qualche strana – quasi sempre inesaudibile – ambizione. Se ripenso alla mia storia personale, non ho dubbi: sono diventata interista grazie a Javier Zanetti. Quando a nove o dieci anni trovi un punto di riferimento come Zanetti, moralmente incorruttibile e sportivamente ineccepibile, non puoi non innamorarti del giocatore e, di conseguenza, della squadra di cui è capitano. Si torna alla citazione iniziale: non si può amare veramente un atleta se non si riesce a vedere dentro alla sua anima. Come fanno le bambine e i bambini oggi ad amare atleti che trattano lo sport come un conto corrente?

Parlando della formazione che nel 2010 vinse il Triplete, Zanetti di recente ha dichiarato: «Il nostro era un gruppo composto da uomini prima ancora che da calciatori, tutti con grande senso d’appartenenza». Peccherò di disfattismo, forse, ma temo che le nuove generazioni faranno molta fatica a provare quello stesso splendido, salvifico senso di appartenenza che solo un gruppo di uomini prima che calciatori può regalare.

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domenica 8 Settembre 2024