Pantani è…

Anche quest’anno è arrivato il 14 febbraio. Per me non è mai stato “San Valentino”, ma il giorno della morte di Marco Pantani. Avevo nove anni quando diedero la notizia al telegiornale. Devo confessare che non sapevo nemmeno chi fosse Pantani: per me il ciclismo si riduceva a qualche gita estiva e al tragitto casa-scuola-casa nei mesi più caldi dell’anno.

Ricordo però la sensazione di “epocalità” provata quella sera e nei giorni successivi. Mi rendevo conto che era successo qualcosa di molto grosso. Lo leggevo nel tono di voce e nei volti dei miei genitori che avevano preso a parlare di quel Pantani manco fosse un parente stretto o un vicino di casa. Lo capivo dall’insistenza con cui a ogni ora e in ogni trasmissione televisiva mostravano il volto triste e pensieroso di quel ragazzo, circondato da fotografi e giornalisti a Madonna di Campiglio in quello che – me ne sarei reso conto anni dopo – era stato il primo giorno di una lunga spirale che lo avrebbe portato alla morte.

Da quel 14 febbraio sono successe tante cose. Da passatempo estivo, il ciclismo è diventato prima una passione, poi uno sport praticato con costanza. Appassionarmi al ciclismo e alla sua storia mi ha permesso di capire meglio chi fosse Pantani. Un eroe tragico talmente grande da sfuggire a ogni categorizzazione e confronto. Pantani era (è) il nostro ciclista, il nostro mito “a colori”. Più vicino di Bartali, più appassionante di Merckx. Approfondirne le imprese ha però concorso ad aumentare la sensazione di vuoto che ogni 14 febbraio contribuisce a far riaffiorare. Una mancanza che regolarmente provo a riempire con le parole: un racconto, una poesia, un romanzo. Quest’anno con un articolo.

Ma che cosa dire di Pantani che non sia già stato detto decine di volte? Credo sia impossibile definire quello che ha dato al suo sport e a chi lo guardava. Forse alcune fotografie, alcune “istantanee sensoriali” che più mi colpiscono possono aiutare.

Pantani è il rumore del vento che fischia nelle orecchie, a capofitto lungo i tornanti di una discesa alpina. Pantani è un ghigno feroce, uno sprint sul traguardo, una smorfia di sofferenza e due braccia gettate al cielo. Pantani è in piedi sui pedali: mani basse e occhi dietro l’ultima curva. Pantani è l’ennesima caduta, l’ennesimo colpo di una sorte bastarda. Ma anche l’ennesima scalata, l’ennesima rimonta, l’ennesima vittoria.

Pantani è anche il sorriso commosso di mamma Tonina, a cui è stato tolto tutto e che da vent’anni combatte quotidianamente contro muri di omertà per dare finalmente quiete alla memoria del figlio. Pantani è mito, leggenda, epica nel senso più puro del termine: vette altissime e baratri immensi. Pantani è, è stato e per sempre sarà.

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mercoledì 30 Ottobre 2024