Lo sport per andare oltre i limiti

Una chiacchierata con Aldo Bernard, la cui storia sportiva – in Trentino e non solo – si intreccia indissolubilmente a quella dello sport paralimpico.

Aldo Bernard alla maratona di Bologna

“Fare sport è sperimentare fin dove puoi arrivare e scoprire che non ci sono limiti o, meglio, che ci sono, però non sono quelli che ti stanno imponendo ma quelli che tu decidi di avere”. Questa l’importanza dello sport per le persone con disabilità secondo Aldo Bernard, la cui storia sportiva – che abbiamo avuto l’occasione di farci raccontare – si intreccia indissolubilmente a quella dello sport paralimpico.

Era il 1975 quando Aldo, che all’epoca praticava sci a livello agonistico provinciale, a causa di un incidente in allenamento perde l’uso delle gambe. Il percorso di riabilitazione ha luogo a Bad Haring, in Austria, dove lo sport era utilizzato in maniera innovativa come terapia. La clinica, infatti, tramite lo sport aveva la possibilità di attivare non soltanto rapporti 1 a 1 tra pazienti e fisioterapisti, ma di poter sfruttare la presenza di un solo esperto per più persone, creando così una diversa atmosfera in ambito curativo.

“All’interno della clinica c’era una bacheca – ricorda Aldo – dove si parlava di sport per disabili, in particolare della quinta edizione delle paralimpiadi estive, l’anno seguente a Toronto”. Era da poco più di 15 anni, infatti, che ai tradizionali Giochi Olimpici venivano affiancate le Paralimpiadi, nate a Roma nel 1960, ed era quindi data alle persone con disabilità la possibilità di praticare sport a livello olimpico. Grazie a quest’ispirazione, la carriera sportiva di Aldo non si arena a causa dell’incidente, ma prende una nuova via.

Con il rientro in Italia, l’allora ventenne Aldo comincia la frequentazione di Villa Rosa, clinica riabilitativa di Pergine Valsugana, dove poco tempo dopo viene presa la decisione di avviare un gruppo sportivo incentrato sulla pallacanestro. “All’epoca esisteva l’ANSPI, l’Associazione Nazionale per lo Sport dei Paraplegici. Noi ci siamo iscritti con l’Associazione Sportiva Paraplegici Villa Rosa, anche grazie al primario della struttura, un medico che aveva collaborato con Bad Haring e quindi era già nell’ottica di utilizzare lo sport come terapia” ci viene raccontato. Anche in Trentino nasce quindi la prima squadra sportiva per disabili.

I campionati, all’epoca, comprendevano unicamente discipline appartenenti agli sport estivi, tra cui spiccava il basket in carrozzina. Aldo ci riferisce che “la pallacanestro era importante per due motivi principali: permetteva di fare gruppo e garantiva un certo allenamento fisico che faceva acquisire molte abilità da utilizzare in altre discipline, soprattutto nell’ambito della corsa, nella quale nella mia carriera sportiva ho vinto molte medaglie, dai 100 metri alla maratona”.

Ma cosa significava, essere persone con disabilità, negli anni ’70? La situazione era molto diversa rispetto ad ora: “Non era data la possibilità di lavorare, non esistevano i parcheggi per disabili… insomma, la mentalità era proprio diversa, incentrata sull’impedimento. Molte azioni erano considerate assurde per le persone con disabilità”. In tutto ciò, quindi, lo sport ha cominciato ad assumere un ruolo fondamentale e il motivo ci viene riassunto in queste parole di Aldo: “Permette di avere una squadra, di confrontarsi con il limite degli altri, di imitare e insegnare. È uno stimolo per andare avanti”.

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lunedì 30 Dicembre 2024