Jonas Vingegaard e il valore della timidezza
Una volta a scuola ricordo che venne a parlare alla mia classe un pedagogo. Proiettò sulla lavagna l’immagine di un gattino affiancata a quella di un leone. Il titolo della diapositiva era: “Vinci la timidezza!”. Il pedagogo disse che le persone timide erano in difetto, incomplete, come dei gattini che devono scoprire le proprie potenzialità per riuscire a trasformarsi in leoni. Ai tempi oltre che piccola ero anche timida, e quella “lezione” mi fece parecchio male. Mi sentivo inadeguata e non all’altezza di quei compagni o di quelle compagne che invece erano a loro agio sotto i riflettori. Ovviamente, col senno di poi, è facile capire che a quel pedagogo andrebbe tolta la licenza di parlare alle scuole dell’infanzia (o a qualsiasi altro tipo di scuola) e che i difetti da correggere sono altri. Eppure, la narrazione secondo cui la timidezza sarebbe un ostacolo da “vincere” continua ad attecchire, in ogni contesto.
Capita persino nel ciclismo. Penso al povero Jonas Vingegaard che, nonostante una strabiliante vittoria al Tour de France, viene trascurato – quando non addirittura vilipeso – per via del suo carattere un po’ timido e introverso. Dal pubblico? Non solo. Anche “addetti ai lavori” come Riccardo Magrini e Luca Gregorio (commentatori su Eurosport) hanno dichiarato esplicitamente la loro preferenza per Tadej Pogačar, rivale per eccellenza di Vingegaard; una preferenza che se fosse basata esclusivamente sul modo di correre di uno rispetto all’altro, non avrebbe niente di sbagliato. Son gusti. Purtroppo però è determinata anche dal fatto che lo sloveno è molto più eccentrico e bravo a dar sfoggio di sé a favor di telecamera rispetto al danese. Quindi risulta più simpatico.
All’accusa di non essere abbastanza espansivo si è aggiunta quella – molto più subdola e deleteria – del doping. Accusa mai rivolta, per restare sullo stesso paragone, a Pogačar, che pur ha compiuto imprese altrettanto incredibili. Come se la simpatia o l’antipatia per un corridore fossero motivi sufficienti per mettere in discussione la sua integrità oppure no. Pogačar mi piace, quindi lo esalto; Vingegaard non mi emoziona, quindi lo critico. Un atteggiamento che ha un che di infantile, ma che soprattutto non fa onore a uno sport complesso, sfaccettato e talvolta magico come il ciclismo.
Sia chiaro: non c’è niente di male nel tifo. È il motore senza il quale qualsiasi sport cesserebbe di esistere, o quantomeno perderebbe la sua epicità. Tuttavia ci sono – anzi, devono esserci – dei limiti. Mi riferisco in particolare alla questione doping. Insinuazioni che fanno male al ciclismo. Lo fanno regredire. Per anni è stato “lo sport dei dopati”, una credenza che si era radicata nel profondo e che infatti si riverbera tutt’oggi sulla concezione comune delle due ruote.
Perché ripetere gli errori del passato? Godiamoci questa nuova, strabiliante era ciclistica senza avvelenarci coi dubbi e con le accuse. Godiamoci questi corridori e lo spettacolo che ci regalano. Ciascuno col suo carattere.
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giovedì 21 Novembre 2024