Il soliloquio di Tadej Pogačar

Tadej Pogačar non ha riscritto solo la storia, ma anche la narrazione che si fa attorno alle sue imprese. Ha posto il proprio sigillo sul Giro d’Italia, vincendo sei tappe. Poi è andato in Francia e ha dominato il Tour, vincendo anche in terra transalpina sei tappe. La doppietta Giro-Tour, che nel ciclismo maschile mancava dal 1998, l’anno magico di Marco Pantani, ha esaltato i cantori della bicicletta, dal momento che solo poche persone sono riuscite a coronare un’impresa del genere. Gli aggettivi hanno preso il sopravvento e fiumi di inchiostro sono stati versati. Ma ora che il fenomeno sloveno ha vinto anche il Mondiale, con un’impresa surreale e al limite del ridicolo o, per usare le sue stesse parole, «dello stupido», che altro si può dire? Quali altri aggettivi si possono pescare e da dove, visto che l’inchiostro pare ormai del tutto consumato?

Forse questo ci permette di inquadrare le proporzioni epocali di ciò a cui stiamo assistendo. Perché dire che mancano le parole non è più un eufemismo: è la conseguenza delle gesta di chi ha riscritto talmente tante volte la storia del proprio sport che ormai, letteralmente, non si sa più che dire. Non ha messo allo sbaraglio solo gli avversari, ma anche chi lavora con le parole, i giornalisti e gli scrittori. Di fronte a imprese titaniche, come l’attacco a più di 100 chilometri di distanza che l’ha portato a vincere la maglia iridata, non si può far altro che rimanere in silenzio. Al massimo, con la bocca aperta.

Ma c’è un problema, perché di articoli su Pogačar ne sono usciti un sacco (anche su queste pagine) e uno in più, esclusivamente celebrativo, pareva ridondante. No, c’è proprio un problema. Al di là dell’antipatia che ogni cannibale del proprio sport inevitabilmente genera, il rischio a cui ora Pogačar – nolente – va incontro è quello della noia. Ieri si è corso il Giro dell’Emilia, martedì sarà la volta della Tre Valli Varesine, mentre sabato prossimo il Giro di Lombardia concluderà la stagione di gran parte dei ciclisti. Sono corse a cui Pogačar ha partecipato e parteciperà, ha vinto e vincerà. Sappiamo benissimo che, a meno di cataclismi inevitabili, lo sloveno imporrà la propria legge anche a Varese e a Como, sede d’arrivo dell’ultima classica di stagione. Lo ha già fatto sul San Luca, ieri, con un attacco a una trentina di chilometri di distanza che lo ha portato a trionfare in solitaria con un paio di minuti sui primi rivali. Una sorpresa? Assolutamente no, visto che è tutto l’anno che ci mostra imprese del genere. 

Il fatto è che quando leggiamo il nome di Pogačar sulla startlist sappiamo come andrà a finire. L’unico rivale che ha saputo tenergli testa in passato è stato Jonas Vingegaard che per avverse sfortune non ha praticamente corso quest’anno. Quello dello sloveno è stato quindi un monologo, anzi un soliloquio: ci ha esaltato, ma ora sfiora pericolosamente il limite del noioso. Sia chiaro: Pogačar non può farci niente. Non può frenare la sua natura, non può spingere i rivali a dargli più filo da torcere, non può farci niente. Quest’anno è andata così. Poi, nessuna stagione è uguale all’altra, quindi la speranza è che il prossimo anno ci sia qualche rivale – magari a partire proprio da Vingegaard – maggiormente in grado di tenergli testa. Per il divertimento dei tifosi e di chi scrive di ciclismo. Ma anche dello stesso Tadej Pogačar.

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martedì 22 Ottobre 2024