Giro d’Italia 2021 (o dell’importanza dell’umiltà)

Della centoquattresima edizione del Giro d’Italia, che è appena andato in cascina, rimangono alcune immagini di forte impatto emotivo, e con esse una riflessione personale.

Ha vinto Egan Bernal. La sua Maglia Rosa, conquistata dopo una decina di giorni di corsa, non è mai stata seriamente in pericolo, nonostante alcune (poche e decisamente ingigantite dai media) battute d’arresto dell’ultima settimana. Ha vinto il migliore, lo scalatore più forte, capitano della squadra – la INEOS Grenadiers – che da dieci anni ormai domina i grandi giri. Lo scalatore colombiano è entrato nel cuore di tutti i tifosi per il suo modo di correre spettacolare e arrembante. Non è un caso che Tonina Pantani (madre di Marco) abbia ravvisato una forte somiglianza tra suo figlio e Bernal: stessa feroce determinazione, stesso modo di essere schivo e riservato, stessa capacità di emozionare.

Non c’è stato l’atteso scontro tra Bernal e Simon Yates, che ha chiuso il Giro al terzo posto senza mai riuscire a impensierire seriamente la leadership del corridore colombiano. Lo scalatore inglese ha dimostrato una condizione altalenante e mai veramente convincente. Pur avendo chiuso a podio e aver conquistato una tappa, si può certamente dire che la sua prestazione sia stata complessivamente al di sotto delle aspettative.

La grande sorpresa di questo Giro d’Italia è stata Damiano Caruso, secondo al termine delle tre settimane di corsa e vincitore della penultima tappa. Partito come gregario di Mikel Landa, ma poi costretto dalla strada (cioè dalla sfortuna accanitasi contro la sua squadra, la Bahrain Victorious) ad assumere i gradi di capitano, Caruso si è dimostrato corridore di spessore, con la testa “da capitano” (nonostante abbia sempre corso come gregario) e l’anima della grande persona. Rimane nel cuore quel suo ringraziare il compagno di squadra, svenato dopo diversi chilometri all’attacco: un paio di colpi sulla spalla prima di partire da solo, verso la vittoria di tappa.

Completano la top-5 Aleksandr Vlasov e Daniel Marítnez, compagno di squadra di Bernal e dimostrazione tangibile della coesione della INEOS: sulla salita di Sega di Ala, all’inizio dell’ultima settimana di corsa, Martínez ha incitato con veemenza il proprio capitano in difficoltà, aspettandolo a più riprese, scortandolo al traguardo e impedendogli così di perdere dai rivali più tempo di quanto ne abbia poi perso.

La rivincita degli umili. La rivincita di chi parte senza fare proclami, non per ostentare modestia (che è una cosa da superbi, cit.), ma per insicurezza sulle proprie condizioni (Bernal e Yates) o perché a fare classifica al Giro non ci pensava nemmeno (Caruso). La rivincita degli umani, dei “primi tra i pari”. Di chi si è sempre considerato un ottimo professionista, ma mai un campione (parole di Damiano Caruso) o di chi non esita ad ammettere un proprio sbaglio (Bernal a Sega di Ala) o la paura di perdere il Giro (sempre Bernal, intervistato prima della cronometro finale).

Sembrava dovesse essere il Giro d’Italia del campione belga Remco Evenepoel, il giovanissimo cannibale coccolato dai media e accompagnato da promesse belligeranti. Ha fatto ben poco, fagocitato dal proprio status di superstar e da una condizione tutt’altro che ottimale. Doveva essere la sua corsa. È stato invece un Giro a misura d’uomo.

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martedì 7 Gennaio 2025