Gameday – Perché le ragazze devono imparare a correre dietro un pallone

“In Italia l’Istat dice che sei bambine su dieci si dedicano a sport individuali. Attività che valorizzano la prestazione e il gesto, a differenza dei giochi di squadra, più praticati dai bambini, in cui si impara a provarci e a non essere sempre perfetti”.

E lo sport che si intraprende da piccoli, come ha spiegato la giornalista de Il Sole 24 Ore Monica D’Ascenzo, influenza anche l’approccio al mondo del lavoro. “Le donne non inviano il proprio curriculum per una posizione se non hanno il cento per cento delle competenze – ha detto -, mentre i ragazzi ci provano anche con un cinquanta per cento di competenze adatte per quella mansione”.

D’Ascenzo ha presentato il suo libro, “Gameday, perché le ragazze devono imparare a correre dietro un pallone”, sabato 4 giugno nella corte di Palazzo Thun. Con lei, tre sportive: Giorgia Sottana e Kim Mestdagh, della Famila Basket Schio, quest’anno campione d’Italia, e Ilaria Galbusera, capitana della Nazionale italiana volley sorde, che ha appena ottenuto un argento in Brasile.

Le atlete italiane non sono ancora considerate come professioniste. Anche se nel calcio qualcosa si è mosso, nel basket e nella pallavolo non si può dire altrettanto. “La capitana italiana della nazionale di rugby – ha detto D’Ascenzo – si alza tutte le mattine per andare a lavorare come operaia e, dopo le sue otto ore, prende il borsone e va ad allenarsi. Queste sono le storie che stanno dietro al successo che vediamo in televisione il sabato e la domenica”. Ma qualcosa, appunto, si sta finalmente muovendo. “È stato chiesto alle federazioni di poter aprire al professionismo femminile – ha aggiunto la giornalista de Il Sole 24 Ore -; l’unica che ha aperto, finora, è stata la nazionale di calcio: dal 1° luglio le calciatrici italiane diventeranno professioniste. Questo però non significa che guadagneranno milioni: è stato messo un tetto massimo di 30mila euro lordi all’anno per le professioniste del calcio”.

Un altro tema importante è quello della cultura del fallimento, dell’importanza di sapersi rialzare dopo una caduta. Uno spirito poco scontato per il mondo sportivo italiano. “Quando perdiamo una partita – ha detto Giorgia Sottana – il nostro carburante, ciò che ci dà la forza di proseguire, è l’amore per quel che facciamo. Sappiamo anche che, come sportivi, non possiamo mollare. Questo ci porta a guardare in faccia i nostri errori e a provare a migliorare ciò che stiamo facendo”.

Per imparare ad accettare le proprie fragilità, è indispensabile lavorare sul proprio benessere psicologico, non meno importante di quello fisico, anche per gli sportivi. “Quello che mi tiene in vita – ha continuato Sottana – è ricordarmi che, prima di essere un’atleta, sono Giorgia, che ho una famiglia e degli amici che mi vogliono bene a prescindere dai miei risultati in campo. Spesso per gli atleti è difficile scindere la professione dalla persona, ma è essenziale: così se sbaglio non significa che sono una fallita, significa che, quella volta, è andata male. Penso però che le persone non siano ciò che fanno: le persone sono quel che sono”.

Ilaria Galbusera ha invece raccontato l’importanza dello sport per il lavoro in azienda. Lavora ad Intesa San Paolo, dove si occupa di diversity e inclusion: “Lo sport mi ha aiutato tantissimo, perché insegna un sacco di valori che possono essere trasformati in azienda: la leadership, la collaborazione e la capacità di lavorare in gruppo”.

Sia Giorgia Sottana sia Ilaria Galbusera sono impegnate anche con campus estivi per i bambini, che imparano a giocare a basket e a pallavolo. “Organizziamo campi sportivi per bambini sordi – ha spiegato Galbusera – per dar loro la possibilità di crescere e rendersi autonomi grazie allo sport, ma anche perché possano incontrare altri bambini sordi e capire che non sono i soli a dover affrontare certe difficoltà”.

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domenica 22 Dicembre 2024