Festival dello Sport: intervista a Fabio Genovesi

Fabio Genovesi non è solo uno scrittore, è molto di più. È un narratore che riesce sempre nell’arduo e spesso sottovalutato compito di emozionare lettori e ascoltatori. Con i suoi racconti – declamati a voce, anche durante il Giro d’Italia, o tra le pagine dei suoi libri – è capace di incantare e commuovere. Così è stato anche al Festival dello Sport dove, nella suggestiva cornice della corte di Palazzo Thun, in qualità di grande appassionato di ciclismo ha raccontato la vita e le gesta del mai dimenticato Marco Pantani, di fronte a un nutrito e attentissimo pubblico. Abbiamo avuto l’immenso piacere di fargli qualche domanda a proposito delle sue più grandi passioni.

Molti di noi ti conoscono come una delle voci fuori campo del Giro d’Italia, come il terzo cronista che affianca ai commenti tecnici storie e racconti. Quanto è importante raccontare le storie, soprattutto per un evento sportivo?

Le storie sono la mia vita, sono la mia passione, sempre. Sono il mio lavoro, ma anche fuori dal lavoro è la stessa cosa. Le storie mi piace raccontarle, mi piace ascoltarle. Credo che ci siano cose della vita così belle, così importanti, ma anche così drammatiche che meritano di essere raccontate, e raccontate bene. La cosa più brutta che si possa fare è raccontare male una cosa bella, perché la si distrugge. Io, ad esempio, al Giro d’Italia – con Rai 2 e Rai Sport – sento molto la responsabilità di poter parlare a tante persone di cose bellissime che magari sfuggono o non vengono considerate. E allora cerco di farlo in un modo che sia il meno invasivo possibile, ma che allo stesso tempo trasmetta la passione.

Questo è, quindi, particolarmente importante anche per un evento come il Giro d’Italia, che è sì un evento sportivo ma è anche parte della storia e della cultura italiane…

Sì, perché il ciclismo è uno sport unico nel suo genere. Quando guardi il calcio vedi solo lo stadio e la periferia di una grande città. Il ciclismo, invece, è l’unico sport che passa in mezzo alle bellezze del nostro Paese. Per questo è necessario raccontarle, altrimenti non ha senso, avere ore di cronaca con inquadrature di posti bellissimi e non accennarvi sarebbe un po’ assurdo. Così mi piace, perché diventa secondo me anche una specie di viaggio in cui si affiancano diverse voci, il tecnico, l’ospite, l’ex corridore, il telecronista che ovviamente è il direttore d’orchestra e poi ci sono io che racconto aneddoti, storie e curiosità dei meravigliosi luoghi attraversati. È un modo per far viaggiare le persone a casa, ricordo mia nonna che mi diceva “io non ho mai viaggiato ma guardo il giro d’Italia” e se a questa cosa ci ripenso mi emoziona ancora oggi.

Parlando invece di scrittura, pensi che ci sia una ricetta vincente che consenta di raggiungere il cuore del lettore?

Non lo so. Secondo me, esattamente come quando vai in bicicletta, chiederti cosa stai facendo è il modo migliore per non farlo. Io cerco sempre di non chiedermi nulla, non penso alla “ricetta giusta” così come non ho scalette, scrivo quello che sento quel giorno lì e solo in un secondo momento mi accorgo di cosa c’è dopo. E non è detto che ci sia sempre qualcosa di imprescindibile, a volte no e butto via tutto. Però credo che l’importante per me non sia mai sapere, piuttosto non sapere. È molto meglio non sapere cosa fai, cosa piace, ma seguire quel puro istinto a fare quello che hai voglia di fare in quel momento.

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giovedì 2 Gennaio 2025