Dossier – Accaparrarsi la terra: il land grabbing
Il land grabbing, l’accaparramento della Terra, è un fenomeno spesso collegato alle cause di conflitti, di guerre e di migrazioni. Si concretizza attraverso l’acquisto, l’affitto sottocosto o l’espropriazione dei terreni alle popolazioni locali per grandi coltivazioni, spesso a monocultura e per lo sfruttamento di risorse naturali. Il land grabbing è guidato da interessi economici e politici di poteri sovrani ed imprenditoriali che si svolgono al di sopra dei diritti, dei bisogni e delle speranze delle comunità locali.
Trovi il dossier completo cliccando qui , potrai leggere tutte le altre sezioni tra cui:
- Il landgrabbing in Asia
- Chi fa cosa: Land Matrix Initiative
- Focus 1: in Sud America
- Focus 2: in Europa Orientale
Il fenomeno esiste da molti anni, ma è dall’inizio della crisi finanziaria del 2007 che è cresciuto in maniera esponenziale. Molto spesso dai terreni accaparrati vengono cacciate intere comunità, senza prevedere nessun tipo di risarcimento. I mandanti possono essere i governi di altri Stati, i consigli di amministrazione di grandi aziende o investitori privati. La maggior parte dei terreni non è venduta, ma data in affitto (leasing) per periodi molto lunghi, di solito 25, 50 o 99 anni.
In questo dossier analizziamo il fenomeno attraverso il rapporto redatto dal Focsivdal titolo “I padroni della terra, rapporto sull’accaparramento della terra 2019” e i dati del Land Matrix (vedi Chi fa cosa). Dal rapporto emerge che nel 2018 i contratti di acquisto o locazione di terra in corso di negoziazione, conclusi e falliti, hanno raggiunto i 1.800 per una dimensione totale di 71 milioni di ettari.
In Africa
Quello africano è il Continente dove si svolgono le maggiori acquisizioni di terra su larga scala. Secondo l’Lmi le ragioni sono molteplici: la disponibilità di terra e altre risorse naturali, ragioni geografiche, culturali, storiche e specifiche del paese ospitante come la politica supporto o opportunità di mercato.
Nel rapporto del Focsiv del 2019 sono riportati alcuni di questi casi: quello delll’Etiopia per l’Africa Orientale, del Mali per l’Africa Occidentale, della Repubblica Democratica del Congo per l’Africa Centrale, del Madagascar per l’Africa Meridionale.
Il dossier rileva che “in Mali si concentrano numerose grandi imprese anglofone per l’estrazione dell’oro che sversano materiali tossici e diffondono polveri che inquinano terre ed acque, e che minano la salute delle comunità. Comunità che vengono informate e coinvolte in modo insufficiente, senza trasparenza e consultazioni ben condotte, con rimedi e compensazioni limitate, contravvenendo quindi alle norme internazionali e ai codici nazionali sulla gestione fondiaria e sulle miniere”. Stessa modalità anche nel caso della multinazionale Glencore in Congo, dove le sue miniere hanno contaminato terreni e fiumi.
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martedì 3 Dicembre 2024