Un sogno chiamato David Lynch

La morte di David Lynch non ci ha colti di sorpresa. Pochi mesi fa aveva rivelato di avere un enfisema polmonare, colpa per sua stessa ammissione delle troppe sigarette fumate in vita. Nessun rimpianto, anzi aveva esaltato il piacere del fumo. Emblema di un uomo che non è mai sceso a patti con se stesso e con i propri desideri. O sogni. No, la morte di David Lynch non ci ha colti di sorpresa, ma ci lascia comunque un vuoto gigantesco. Provo a raccogliere qualche suggestione per omaggiarlo a mio modo, nel mio piccolo.

Ho conosciuto Lynch prima come regista cinematografico (Una storia vera, del 1999, è uno dei film preferiti di mio papà, tanto che credo di averlo visto almeno un paio di volte prima dei dodici anni, addirittura prima di sapere che ci fosse un tizio che dirigeva film e che si chiamava David Lynch). L’ho conosciuto così, ma il colpo di fulmine è arrivato con Twin Peaks. Reputo questa serie TV uno dei momenti più alti della storia della televisione. Le prime due stagioni sono uscite tra 1990 e 1991, la terza è del 2017. Solo i grandi sanno segnare l’epoca in cui vivono. Solo i grandissimi sanno farlo in momenti così diversi e distanti tra loro, per di più con lo stesso medium. Ѐ quello che ha fatto Lynch proprio con Twin Peaks. Da ragazzo (ho visto la terza stagione in diretta nel 2017, quando avevo 22 anni, quindi credo di aver visto le prime due intorno ai 18) ero innamorato del Dale Cooper di Kyle MacLachlan, il protagonista della serie. Un agente dell’FBI che non sembrava tale: amante (ma amante è dir poco: ci sono gli estremi per parlare di unione civile) del caffè e della crostata alle ciliegie, ironico e scherzoso, attento all’occulto e a quello che gli suggeriscono i sogni. Che razza di FBI è questa? E poi il mistero, le indagini, i colpi di scena, i personaggi di contorno tutti a loro modo straordinari e indimenticabili.

Dopo Twin Peaks c’è stata la corsa a recuperare tutto quello che aveva fatto Lynch. Mulholland Drive (2001) credo di averlo visto troppo presto, forse addirittura prima di conoscere l’agente Cooper. Ricordo un profondo turbamento, un film affascinante ma difficile da inquadrare. Sarei curioso di rivederlo per paragonare le sensazioni di allora con quelle di adesso. Per Inland Empire – L’impero della mente (2006) invece, ultimo film di Lynch, non si è mai pronti. Un classico istantaneo, nell’accezione calviniana del termine: un film che non ha mai finito di dire quel che ha da dire. Strade perdute (1997) è arrivato nel momento giusto, ed è stata una folgorazione. Un noir estremamente raffinato, ellittico come quasi tutti i film di Lynch, ma dannatamente sexy. Noto che non c’è stato alcun criterio nel rapporto tra me e il regista statunitense, nessun ordine cronologico. Del resto nelle storie d’amore si improvvisa, si naviga a vista. 

Non ho visto tutto Lynch. Dune (1984) non mi ha mai attirato e non so se lo farà mai. Ma va bene così, e non mi dispiace nemmeno avere ancora qualcosa di suo da vedere. Mi ricorda quel lettore che non leggeva mai l’ultima decina di pagine dei libri che considerava dei capolavori perché più che il finale preferiva sapere che l’incantesimo che lo aveva ammaliato non si era esaurito ma conservava ancora potenziale magico. Lynch non tornerà più indietro, ma l’incantesimo che mi ha ammaliato – che ha ammaliato tutti noi – conserva ancora un enorme potenziale magico.

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sabato 18 Gennaio 2025