Recensione allo spettacolo “Cinema Cielo”
di Danio Manfredini
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Cinema Cielo esisteva realmente a Milano ed era un cinema per adulti da cui passava varia umanità sfortunata, emarginata e confinata in quel luogo. Danio Manfredini decide di raccontare questa sorta di mondo parallelo mostrandocelo per quello che era: una platea sgangherata, frequentata da persone solo parzialmente interessate ai film, che nei “cessi” del locale trovavano parziale soddisfazione ai loro impulsi ed alle loro necessità.
I sedili sono rivolti verso gli spettatori e si sta proiettando un film tratto da “Nostra Signora dei Fiori” di Jean Genet, i cui dialoghi sono in correlazione con ciò che accade in scena.
Lo spettacolo di Manfredini in generale è molto complesso, in un primo momento stordente e difficile da dipanare; le entrate e le uscite di scena sono continue e si affacciano sempre nuove figure. Tuttavia, dopo essersi rassegnati a non comprendere tutto, si capisce che probabilmente l’autore voleva rappresentare uno spaccato di realtà, in tutta la sua essenza caotica.
Davvero notevole in tal senso il coordinamento della regia e l’affiatamento dei quattro attori in scena che alternano le diverse maschere in maniera fluida, in un armonico tutt’uno che include manichini statici o in movimento. Altro aspetto fondamentale è quello del sonoro, delle già citate battute del film, ma anche delle musiche che sottolineano momenti importanti dello spettacolo e si rivolgono alla parte emotiva dello spettatore.
Quello che ne esce è un quadro fosco, piuttosto triste di questo microcosmo oscuro (come la platea di un cinema appunto), in cui la solitudine regna sovrana e viene maledetta. Le sporadiche battute di spirito presenti, spesso in dialetto milanese, non riescono a stemperare l’angoscia che alla fine l’opera ti lascia dentro.
Cultura
Bel pezzo! Sei riuscito a farmi provare l’angoscia, anche senza averlo visto.