Pessoa – Since I’ve been me
Nell’ambito del progetto L’Attrice e l’Attore Europei il Teatro della Pergola di Firenze in collaborazione con il Théâtre de la Ville di Parigi ha commissionato al regista teatrale statunitense Robert Wilson uno spettacolo sullo scrittore e poeta portoghese Fernando Pessoa (Lisbona, 1888 – 1935).
Tra i più originali esponenti del Modernismo del XX secolo, Pessoa è famoso soprattutto per l’utilizzo di molti eteronomi che l’hanno reso una figura enigmatica e dalle molteplici sfaccettature. Proprio questo suo tratto è ciò che più ha affascinato ed ispirato il regista americano e il drammaturgo Darryl Pinckney nella creazione dell’omaggio Pessoa – Since I’ve been me, sul palco del Teatro Sociale di Trento dal 6 al 9 febbraio 2025. «La sua inventiva si è espressa notoriamente come la gestazione e nascita dei molteplici sé in attesa nella sua testa. Non erano pseudonimi: erano lui, ma allo stesso tempo non erano lui. Erano i suoi alleati in una grande avventura, la ricerca della voce liberata della poesia», spiega Pinckney.
La realtà dei sogni e l’inaffidabilità del concreto vengono così materializzati da Wilson attraverso l’uso di molteplici idiomi(italiano, portoghese, francese e inglese) e avvalendosi dell’interpretazione di attori di differente nazionalità: la portoghese Maria de Medeiros, la francese di origini africane Aline Belibi, il brasiliano Rodrigo Ferreira, l’italo-albanese Klaus Martini, l’italiana Sofia Menci, l’italiano residente franceseGianfranco Poddighe, la franco-brasiliana Janaína Suaudeau.
Sulla scrittura interviene poi il co-regista Charles Chemin: «Insieme abbiamo elaborato una drammaturgia che mescola parole essenziali, nel senso di parole che dicono qualcosa sul sé – sui possibili sé, sulla pluralità degli altri sé ai quali vengono attribuite le altre opere». Lo spettacolo inizia infatti con un testo che Pessoa scrisse in gioventù e che rappresenta una riflessione sull’essere umano chiarendolo sin dall’incipit “What is man itself…”.
Completano il quadro i costumi di Jacques Reynaud e le scenografie dello stesso Wilson in collaborazione con AnnickLavallée-Benny. Proprio luci e scene sono probabilmente la parte più riuscita della pièce che, nonostante le premesse, non riesce a soddisfare le aspettative del pubblico. La molteplicità dei linguaggi utilizzati costringe all’impiego di sopratitoli posti troppo in alto per essere letti dalle prime file della platea e che, nel seguire la recitazione degli attori, scorrono troppo velocementeper permettere la comprensione e la metabolizzazione di concetti spesso complessi. L’essere costretti a leggere per cogliere il significato del testo impone poi un distacco visivo da ciò che avviene sul palco, penalizzando l’intera esperienza teatrale, che, come noto, si basa molto anche sull’interpretazione corporea degli artisti. Nella parte finale, complice lo sfortunato connubio di fumo di scena e torce la cui luce viene rivolta dritta in faccia allo spettatore, la lettura si fa addirittura utopia. Resta l’amaro in bocca per un teatro che voleva essere d’avanguardia ma che ha finito per restare vittima dei suoi molteplici sé.
Foto © Lucie Janusch
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lunedì 24 Marzo 2025