Nft e Crypto art: il caso Beeple

L’11 marzo 2021 la casa d’aste ufficiale Christie’s vende Everydays: the first 5000 days di Beeple – nome d’arte di Mike Winkelmann – alla terza cifra più alta mai battuta per un’opera di un artista vivente, e il mondo dell’arte grida allo scandalo. Cosa è successo esattamente? È stata davvero una novità degna del clamore mediatico che l’ha seguita?

Per comprenderne a pieno la portata dobbiamo necessariamente fare un passo indietro e capire cos’è la cripto-arte. Di per sé nulla di sconvolgente se si pensa che l’arte digitale ha visto i natali ancora negli ormai lontani anni ’60, eppure con la nascita di internet e le sue leggi basate sull’accessibilità e la riproducibilità dei propri contenuti, l’ambito artistico ha sentito la necessità di tutelare l’unicità delle proprie creazioni. Per farlo si è avvalsa di una tecnologia nata nel 2017 a corredo dei videogiochi: gli NFT (not-fungible token). Questi “oggetti” non scambiabili, in quanto insigniti di un’individualità specifica, rappresentano l’equivalente di un certificato di attestazione dell’opera e basano la loro non fungibilità sulla tecnologia blockchain, una serie di dati immodificabili ma ai quali si possono aggiungere nuove informazioni che tengono traccia di tutti i passaggi di proprietà.

Che cosa è stato acquistato quindi da Christie’s? Non tanto l’opera in sé, che chiunque può cercare sul web e scaricare comodamente con un semplice clic del mouse, bensì l’NFT collegato all’opera: l’attestato di proprietà. Più o meno come andare in un negozio di abbigliamento e comprare l’etichetta di una maglia, anziché il capo in sé. Anche in questo caso però nulla di nuovo per il mondo dell’arte: sempre negli anni ’60 Sol LeWitt, artista che realizzava murales, dei suoi Wall Drawings vendeva il certificato che conteneva le istruzioni per realizzare l’opera parietale acquistata. Se si decideva di traslocare, bastava imbiancare la parete e realizzare nuovamente la pittura nella nuova sede.

Dove risiede dunque l’elemento di scandalo? Nel fatto che per la prima volta nella storia del mercato dell’arte non vi sia stato nessun genere di mediazione da parte degli attori di tale mercato: curatori, galleristi, critici ed esperti ne sono rimasti esclusi. Fino al momento in cui il martelletto non ha battuto la cifra record Beeple era un emerito sconosciuto. I compratori poi non sono collezionisti, bensì investitori che hanno acquistato l’opera nella speranza che essa si rivaluti e possa poi essere rivenduta a cifre ancora più alte.

Nei giorni successivi sui social ognuno aveva un’opinione sulla giustizia o sull’ingiustizia di tutto questo. Così come l’anno successivo alcuni si indignarono e altri si esaltarono per la vittoria di un’opera prodotta con l’intelligenza artificiale in un piccolo concorso locale in Colorado. L’opera in questione era Theatre d’Opera Spatial di Jason Allen, una fotografia scattata dall’artista e poi interamente lavorata con l’ausilio dell’IA proprio con intento provocatorio. Si è così riaperto il dilemma più antico del mondo dell’arte: che cosa rende un’opera d’arte tale? E qual è il ruolo dell’artista: essere colui che ha un’alta perizia tecnica o colui che, per dirla alla Duchamp, “sceglie l’oggetto d’arte”? Ai posteri l’ardua sentenza.

Cultura
Lascia un commento

I commenti sono moderati. Vi chiediamo cortesemente di non postare link pubblicitari e di non fare alcun tipo di spam.

Invia commento

Twitter:

martedì 19 Novembre 2024