L’uomo che sognava Marte
Chissà cos’avrebbe detto (e scritto) Ray Bradbury delle missioni su Marte. Intervistato da Oriana Fallaci nel romanzo “Se il Sole muore”, spiega perché, secondo lui, l’uomo parte alla volta della Luna, come di qualsiasi altra missione spaziale.
«Per la stessa ragione che ci fa mettere al mondo i figli. Perché abbiamo paura della morte, del buio, e vogliamo vedere la nostra immagine ripetuta e immortale», le spiega, aggiungendo che «la Terra può morire, può esplodere, il Sole può spengersi, si spengerà. E se il Sole muore, se la Terra muore, se la nostra razza muore con la Terra e col Sole, allora ciò che abbiamo fatto fino a quel momento muore. […] Prepariamoci a scappare, scappiamo per continuare la vita su altri pianeti, per ricostruire su altri pianeti le nostre città: non saremo a lungo terrestri».
Nel 1950, tre anni prima di scrivere il suo romanzo più famoso, “Fahrenheit 451”, Bradbury termina la stesura di “Cronache marziane”, in cui immagina la colonizzazione di Marte a opera dell’uomo tra il 1999 e il 2026. Bradbury scrive libri che i critici definiscono “fantascientifici”, ma rivendica il diritto di poter parlare di tutto nelle sue opere: anche di attualità. La science fiction, secondo lo scrittore, offre la possibilità di «attaccare fascisti, comunisti, razzisti o altro ancora», assieme all’innegabile vantaggio di celare l’attacco. Per questo “Cronache marziane” è molto più che un semplice libro di fantascienza: è una lettura critica, proiettata nel futuro e su un altro pianeta, di ciò che l’uomo ha fatto sulla Terra, e in particolare in America, attraverso la colonizzazione. Così, mentre i personaggi creati da Bradbury vanno su Marte per scappare da un’imminente guerra nucleare e dal clima d’ingiustizia che aleggia su tutto il pianeta, quello che essi desiderano riproporre su Marte è in realtà lo stesso schema che hanno adottato sulla Terra: vogliono distruggere la società marziana e costruire sulle basi di questa distruzione la propria civiltà.
Allo stesso tempo, però, Marte sembra essere veramente quell’occasione di «continuare la vita su altri pianeti» che Bradbury spiegava alla Fallaci. Molti personaggi di “Cronache marziane” incontrano su Marte dei parenti morti, che hanno trovato proprio sul pianeta rosso la possibilità di vivere una seconda vita. «È un mondo su cui ci è stata offerta una seconda occasione di vivere. Nessuno ci ha spiegato il perché. È vero che nemmeno ci è mai stato detto perché fossimo sulla Terra, del resto. L’altra Terra, intendo. Quella da cui voi venite. Chi ci dice che non ce ne sia stata un’altra ancora prima di quella?», dice la nonna di un astronauta che ha trovato casa su Marte dopo essere morta.
Bradbury sottolinea spesso, più o meno velatamente, la “seconda occasione” che Marte rappresenta per l’uomo. D’altronde, il clima in cui viveva era quello della Guerra Fredda, dove la minaccia di una guerra nucleare era avanzata dalle due potenze globali quasi quotidianamente, e in cui, sull’immaginario “fronte statunitense”, si respirava un clima di censura verso tutto ciò che fosse anche solo vagamente additabile come “comunista”. Già in “Cronache marziane” si respira il clima che sarà poi onnipresente in “Fahrenheit 451”, dove un manipolo d’innamorati dei libri tenta di salvare i volumi dati alle fiamme dai pompieri e, soprattutto, da una società che punisce sempre più il libero pensiero e lo spirito critico.
Bradbury era l’uomo che sognava Marte come si sogna la possibilità di costruire una società migliore. Ed era lì che, come dichiarò qualche anno prima della sua morte, avvenuta nel 2012, avrebbe voluto farsi seppellire.
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domenica 22 Dicembre 2024