La Spagna assente a Cannes: storia di una crisi cinematografica lunga un secolo

Al Festival di Cannes, arrivato quest’anno alla sua 76° edizione, tra i tanti film in concorso, è possibile notare come non sia stato presente nemmeno una produzione spagnola. Il fenomeno dell’assenza di film iberici negli anni – salvo eccezioni come Pacification nella scorsa edizione, di Albert Serra, o i vari Almodovar e Del Toro – è un fenomeno che ha inevitabilmente attirato l’attenzione di una grande fetta di pubblico locale. Le motivazioni, però, sono di vario tipo, e la maggior parte sono ormai date per certe e per difficili da cambiare: proprio per questo è possibile tracciare una linea per definire perché il cinema di questo stato non risulti fruttuoso nelle vetrine più importanti nel mondo della Settima Arte.

È stato provato più volte, innanzitutto, come il cinema in Spagna sia stato più che di frequente un argomento politicizzato: la vita sotto la dittatura di Francisco Franco è durata fino agli anni ’70, era logico prevedere delle conseguenze sul mondo dell’arte. Il primo periodo di “splendore” del cinema spagnolo era arrivato nel periodo della Seconda Repubblica, negli anni ‘30, è necessario considerare che fu il primo periodo del cinema di Luis Buñuel e che l’arte, in generale, fioriva in questa zona come in poche. La dittatura ha poi cambiato radicalmente i piani, il cinema è diventato prima di partito, durante la guerra civile, e poi strumentale allo stato, con tante informazioni manipolate, tanto che oggi non è possibile essere certi di alcuni elementi, come “quale sia stato il primo film spagnolo”. Alla fine del periodo franchista, è stata sempre la politica a dettare il funzionamento della cinematografia, con la legge Miró, arrivata con il PSOE, Partito Socialista Operaio Spagnolo, con la piena intenzione di dare una spinta vitale ad un cinema “politicamente inefficace, socialmente falso, intellettualmente infimo, esteticamente nullo e industrialmente rachitico”, come da parole dello storico regista Juan Antonio Bardem, un ventennio prima della fine della dittatura. In questo scenario di libertà totale e soppressione della censura, inizia a muovere i suoi primi passi Pedro Almodóvar, un nome che non ha bisogno di introduzioni.

Il manchego è l’uomo chiave nello spiegare l’andamento del cinema spagnolo, perché lui “funziona più all’estero che in Spagna”. In una società aperta allo scambio di idee come quella che attualmente possiamo osservare nel nostro mondo, rimanere chiusi, sperando nella fortuna al botteghino del cinema nazionale, non può che avere come ripercussione un fallimento dell’intero settore cinematografico, palesato anche dai numer registrati dai cinema nel periodo post-Covid: nel 2021 solo il 40% delle strutture poteva dire di essere sopravvissuto alla pandemia. La crisi che il cinema spagnolo è costretto a fronteggiare va avanti ormai da tempo, complice la scarsa progettualità nel periodo successivo alla rimozione della censura e il conseguente “ritardo” rispetto al resto dell’Europa – se in Spagna nel ’60 c’era Franco con i suoi film di regime, in Italia c’era Fellini e in Francia la Nouvelle Vague. Il chiaro epilogo è una bassissima fiducia nei propri mezzi, riversata tutta sul pubblico che dovendo scegliere tra un film di Netflix, trascinato di peso alla serata degli Oscar, e una produzione nostrana al cinema, non avrà dubbi. Lo stesso Serra, l’ultimo candidato spagnolo a Cannes si è espresso a riguardo del tema dicendo che il problema principale è proprio questo, c’è una sorta di isolamento volontario.

Inoltre, è bene sottolineare come siano sempre più scarseggianti gli effettivi produttori cinematografici spagnoli che – in concomitanza con la disparità di trattamento, volta allo sviluppo delle singole comunità autonome, quindi diversi fondi stanziati per diverse zone – porta ad un crollo totale delle possibilità di vedere una nuova ondata di film spagnoli. L’obiettivo sembra, in ogni caso, di farsi forza su queste diversità, anche culturali, perché i film chiamati “spagnoli”, non abbiano solo un cast che parla spagnolo, ma perché comincino a fiorire le produzioni effettivamente realizzate sotto la Corona di Felipe VI, con l’auspicio di espandersi sul mercato internazionale, partecipando anche ad eventi come Cannes o gli Oscar.

Cultura
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sabato 21 Dicembre 2024