Il popolo degli sfigati. Quello che non abbiamo ancora capito sulla nostra identità
Mercoledì 27 luglio al Castello di Pergine, nell’ambito della manifestazione culturale Agosto Degasperiano, Marco Aime è intervenuto con la sua riflessione dal titolo “Identità tra passato e futuro”.
Aime è un antropologo italiano e ha approfondito con grande sapienza il tema dell’identità. “È un termine entrato fortemente nel nostro immaginario da una decina d’anni”, esordisce Aime. Il termine nasce con l’avvento della fotografia ed in particolare della carta d’identità, una peculiarità umana se ci si pensa, perché, ricorda lo studioso, in natura non esistono due cose identiche.
Cosa intendiamo dunque con questo termine, oggi?
Il termine è stato spesso usato, al singolare, per escludere qualcuno, come se il concetto di identità fosse “qualcosa che ci tiene insieme”, tracciando un campo di appartenenza per alcuni e di esclusione per altri: barbari e civili, nemici e buoni. Lo si è visto nel 2020, quando la pandemia ha creato delle divisioni inimmaginabili e ha inasprito addirittura il sentimento di appartenenza di ognuno, segmentando la società oltre ogni limite.
Aime prosegue: “Non esiste al mondo un gruppo sociale o un popolo che non si sia dato un nome. Prendiamo per esempio Inuit o Bantu vogliono quasi sempre dire gli uomini, i guerrieri, i migliori. Nessuno si chiama gli storpi o gli sfigati. Ciascuno pensa “sempre noi siamo i migliori e gli altri meno”. L’etnocentrismo colpisce tutti. In qualche modo dobbiamo definirci. Perché? Perché non sappiamo pensare in grande”.
Inevitabilmente l’identità porta a tracciare un confine.
E questo confine ci definisce rispetto a chi “sta fuori”. Aime afferma: “Se per esempio si inizia a distinguere un’identità dalla razza di appartenenza, dal colore della pelle o dal luogo di nascita questo è razzismo. Perché nessuno può scegliere queste proprie specifiche della sua identità”.
Questo uso politico dell’identità ha creato delle conseguenze sinistre: pensiamo alla retorica dello scontro delle civiltà. Tale scontro parla spesso di culture, un termine connesso a quello di identità e altrettanto frainteso. Ogni popolo ha la sua cultura e tutte le culture sono multi-culturali. Un esempio su tutti: “Ralph Linton, professore di antropologia statunitense, il primo giorno di lezione chiede ai suoi studenti quanti oggetti della quotidianità che usano sono americani. La domanda provocatoria diventa tre pagine di dimostrazione che ogni oggetto usato è in realtà proveniente da altre culture”.
Aime continua dicendo che il cibo è un esempio ottimo per dimostrare quanto l’identità di ogni popolo e dunque la cultura che lo caratterizza sia in realtà il risultato di molteplici altre culture e identità: “I due piatti identitari dell’Italia sono pizza e spaghetti: uno è arabo, l’altro è cinese. Su entrambi mettiamo il pomodoro che viene dall’America”.
È vero che esistono delle differenze culturali, ma le culture non sono dei monoliti, ma sono un miscuglio di varie altre culture, in continua evoluzione.
L’intervento continua, toccando i temi delle radici, delle tradizioni, del territorio e delle identità nazionali. Aime suscita nel pubblico moltissime domande di approfondimento e ci lascia con un’immagine molto significativa: bisognerebbe tracciare a matita la nostra identità.
Cultura
Twitter:
martedì 3 Dicembre 2024