Il concerto di Bruce Springsteen a Ferrara si è tenuto (per fortuna)
Il 18 maggio il Boss non è mancato all’appuntamento della prima data italiana, nonostante le polemiche di chi avrebbe preferito annullare il concerto a fronte del dramma che sta mettendo in ginocchio l’Emilia-Romagna. È stata una mancanza di rispetto?
Ho letto tra le trecento e le trecentocinquanta polemiche in merito al concerto di Bruce Springsteen tenutosi lo scorso 18 maggio a Ferrara. Tutte (o quasi) si scagliano contro gli organizzatori con la seguente accusa: non annullare il concerto è stata una mancanza di rispetto nei confronti di chi, a pochi chilometri di distanza, stava e sta affrontando un’alluvione drammatica. Io ero tra le cinquantamila persone che si sono emozionate sulle note di Born to Run e, sentendomi particolarmente coinvolta dalla questione, vorrei provare a restituire il punto di vista opposto.
La mia non è una riflessione imparziale e oggettiva, mi sembra evidente. Così come non lo può essere quella di chi ha attaccato l’evento. È umano: di fronte alle tragedie (soprattutto a quelle così vicine) si prova empatia, ci si immedesima e ci si domanda come sia possibile “festeggiare” mentre tutto attorno c’è solo dolore. Da persona che ormai di concerti ne ha frequentati parecchi, però, ci tengo a sottolineare un punto fondamentale: un concerto non è solo – o non è necessariamente – una “festa”. È un momento di ritrovo, di condivisione e di partecipazione essenziale di questi tempi.
Nello specifico, poi, questo concerto non è stato affatto l’esplosione di gioia a cui Bruce ha da sempre abituato i suoi fan. Semmai il contrario: i pezzi più energici come Glory Days o Badlands sembravano quasi in contrasto con le nuove consapevolezze che il mito del New Jersey ha portato sul palco. «Da giovani pensavamo al futuro, dicevamo “domani” e “buongiorno”, ora diciamo solo “ieri” e “addio”» ha confessato mentre ricordava commosso le persone care venute a mancare negli anni, per poi eseguire una straziante Last Man Standing.
Non si può tacciare di insensibilità l’uomo che ha realizzato Nebraska, quintessenza del turbamento interiore. Eppure ha stupito anche me l’assenza di qualsiasi riferimento da parte del Boss al dramma emiliano, proprio perché non è da lui. My City of Ruins sarebbe stata perfetta come dedica per chi si trova in una «città di rovine», oppure – per restare tra quelle già previste in scaletta – No Surrender e The Rising. Possibile che nessuno lo abbia informato su quanto sta accadendo in Emilia? Mi pare strano. Comunque, non è questo il punto.
Il punto è che la musica non manca né mancherà mai di rispetto a chi soffre (certe culture africane lo hanno capito prima e molto meglio di noi occidentali). Seguendo il principio di chi critica, per dirne una, si dovrebbe annullare anche il concertone del primo maggio, visto il continuo, inaccettabile crescere delle morti sul lavoro; in quel caso sarebbe peraltro una decisione ragionevole, considerando la qualità musicale che ultimamente passa su quel palco, ma penso si sia intuito il senso dell’osservazione.
La verità è che la musica ci serve, nei momenti bui più che mai. Ci serve per non restare intrappolati nella spirale di dolore e di impotenza che altrimenti ci trascinerebbe a picco. Non credo sia una colpa sentire il bisogno di un po’ di luce in mezzo alle tenebre. Non credo sia una colpa, per dirla con Springsteen, provare a «danzare nell’oscurità».
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giovedì 26 Dicembre 2024