Il cibo (ti) fa girare il mondo

Si può viaggiare anche solo attraverso la cucina. Da quando il Covid-19 ha fatto irruzione nelle nostre vite, abbiamo dovuto contemplare innumerevoli variabili (oltre alle varianti). Una di queste è stata l’impossibilità di viaggiare, che ha ferito tutti – non solo le anime più nomadi.

Ricordo ancora la prima uscita fuori dal mio comune, alla fine del lockdown “rigido”: anche solo andare a Trento pareva una conquista. Tridentum mi sembrava New York, e la fontana del Nettuno si era improvvisamente trasformata nella statua della libertà. C’è però un’altra cosa che mi ha dato l’illusione di poter viaggiare ancora, come si faceva prima: le prelibatezze “dal mondo”. Un sapore, un colore e un aroma possono trasportati in un altro mondo, attivare ricordi e sensazioni che pensavamo dimenticate.

Dovendo scegliere tra tutti i piatti possibili e immaginabili, però, mi vengono in mente quelli dei viaggi che ho fatto fisicamente, spostandomi attraverso le frontiere e a volte incontrando anche chi quei piatti li aveva preparati. La Tajine marocchina, un piattone che tenevo stretto tra le mani, soddisfatta di aver dato il mio contributo alla sua preparazione, io che amo mangiare ma cucinare… Beh, un po’ meno. O il tè alla menta del Marocco, che ha un sapore che non ho trovato in nessun altro posto. E fa niente se la quantità di zucchero che ci mettono è industriale e io mi sono imposta di bere sempre il tè senza zucchero perché “si sente di più il vero sapore”. È buonissimo, davvero. E al supermercato, viaggiando tra gli scaffali (sì, anche quello è un viaggio, dopotutto), il tè alla menta è la stella polare che guida tutti i miei acquisti.

Ricordo poi le fiamme della “tarte flambée” alsaziana, una sottospecie di pizza – per gli esperti di gastronomia probabilmente chiamarla pizza è una profanazione – soltanto più leggera. Tanto leggera che, quando la finisci, ti va di ordinarne un’altra e un’altra ancora. (Ma a questo punto, forse, tanto valeva mangiarsi una pizza?). Se andate a Strasburgo, visitate “Au Brasseur”. Alle cinque c’è l’happy hour e, per un prezzo modico, ti danno una “tarte flambée” più un boccale di birra alsaziana (ma è una caraffa, a giudicare dalle dimensioni) che è la fine del mondo. La fine del mondo alle cinque, perché gli alsaziani cenano prestissimo (maledetti!).

Il cibo unisce e divide. Lo sa benissimo la Bosnia Erzegovina. Ogni volta che parlavo di una pietanza definendola “bosniaca”, una mia amica turca mi ammoniva: “In realtà non viene dalla Bosnia Erzegovina, viene dalla Turchia”. Prendiamo anche solo l’ajvar, una salsa di peperoni, melanzane, peperoncino e aglio che infilavo in qualsiasi cosa mangiassi: pasta, riso e pane. Sì, insomma, non proprio dappertutto, ma mica potevo mangiarla con il gelato. Insomma, l’ajvar è una salsa tipica dei Balcani – in particolar modo di Croazia, Serbia, Macedonia e Bosnia – ma tutti si contendono la sua paternità. Ciò che conta, per chi la mangia, è che sia buona. E, credetemi, lo è eccome.

Un’altra regola, quando si parla di cibo “estero”, è che la pronuncia non facilita le ordinazioni. Un giorno sono entrata super convinta (e super affamata) in un baretto di Sarajevo, e ho ordinato una fetta di Trilece – che letteralmente significa “tre latti”, e che è una torta spaziale – quando invece volevo un semplice Hurmasice, un biscotto fritto che viene fatto letteralmente naufragare nello sciroppo di zucchero. Mi è andata bene, perché il Trilece è ancora più buono, ma chissà cosa mi sarebbe potuto capitare nel piatto. Insomma, ci sono delle parole chiave che, quando si è in un altro Paese, bisogna apprendere.

Potrei scrivere in eterno di cibo. Penso che le cose più belle avvengano a tavola. Me l’ha insegnato mio nonno, che ogni volta a pranzo chiedeva già cosa volessimo per cena, e che mi ha trasmesso la passione per i sapori. Anche se forse non l’ho recepita proprio benissimo, perché un giorno, presa dalle “morse della sete”, ho letteralmente trangugiato un bicchiere di quella che pensavo fosse acqua, e che invece si è rivelata grappa. La sete, come la fame, gioca brutti scherzi. Però ti fa fare un sacco di viaggi.

Cultura
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domenica 22 Dicembre 2024