Fa’ la cosa giusta: tra arte e protesta

Spike Lee è tornato ad esprimersi e – come di consueto – lo ha fatto senza peli sulla lingua: in una lunga intervista al The Guardian ha spaziato dall’Emmy “ingiustamente” vinto, a parere suo, da Harry Stiles a discapito di Beyoncé, al tema sicuramente più interessante – che lo ha visto spesso dibattuto mediaticamente – ovvero il suo modo di fare arte. Il cinema del regista di BlacKkKlansman è stato definito come problematico già dalla fine degli anni ’80, quando a pochi anni dal suo esordio – nell’83 con We Cut Heads e altri cult come Lola Darling nell’86 – Spike Lee divenne attore e regista di un film destinato a diventare un manifesto contro il razzismo, ribaltando la prospettiva sugli stereotipi razziali così diffusi in un’America che vive di un patriottismo alienato dalla realtà delle proprie radici, tutt’altro che prive di “contaminazioni” dall’Africa e dal Vecchio Continente.

Do The Right Thing era tornato alla ribalta nel 2020, un periodo che sembra ormai così lontano ma comunque attuale: un po’ per il Covid, un po’ per le proteste nelle strade degli US, dovute agli abusi della polizia nei confronti degli americani neri, un caso su tutti è quello di George Floyd. Nella settimana subito successiva al soffocamento dell’uomo, Spike Lee aveva postato su Twitter un corto in cui ci si interrogava sulla ciclicità del tempo e sul “quando finirà”: in sequenza sono riportate la fittizia morte di Radio Raheem, Bil Nunn, in Do The Right Thing, poi quella di Eric Gardner e infine quella di George Floyd. La scelta del regista era stata definita come sovversiva, come un’incitazione verso le masse a insorgere e le critiche non sono di certo mancate per lui che aveva già diretto il biopic Malcom X e che racconta di aver vissuto in prima persona le violenze che la Black America continua a vivere da secoli.

Accusando Lee di aver aizzato le masse si dimostra chiaramente di aver perso di vista una delle caratteristiche quintessenziali dell’arte, perché è storicamente giusto considerarla sia come una scintilla capace di far esplodere il sociale – quindi una maniera di riflettere, elaborare e stravolgere la propria condizione – che come benzina su un falò – propagando quindi le sensazioni, denunciando qualcosa che comunque tutti riescono già di per sé a vedere. Trascendendo la componente edonistica del guardare un film su Netflix nel pieno del relax a fine giornata, il cinema è uno strumento fortissimo ed è giusto che sia un po’ sovversivo: i film sono facilmente accessibili, a costi ridicoli o nulli e dispongono di una platea ampissima; abbiamo visto qual è stato in Italia il risultato di venti anni di certi programmi televisivi – la cosiddetta Endemol Generation. Sicuramente non è possibile giustificare la violenza nelle strade con un film, che si parli di concetti come colpa o merito, l’arte è fondamentale nei periodi di deliberazione estrema per le masse.

Pensiamo al ’68, l’arte fu fondamentale, quasi propagandistica per sensibilizzare, lo stesso potrebbe essere detto per le opere di Banksy, che appare e scompare quando il mondo ha bisogno di lui, o persino all’arte caratterizzante dei “più semplici” Pride, che mirano invece alla sensibilizzazione e alla normalizzazione di svariati tabù. Di esempi ce ne sarebbero a milioni, anche scavando nel passato, fare arte è una forma di ribellione e del resto, come diceva il marxista Thomas Adorno, “ogni opera d’arte è un crimine non commesso”, è il proprio modo di sfidare la società o il contesto che ci intrappola, piuttosto che commettere della violenza, un altro elemento apparentemente imprescindibile nella storia delle rivoluzioni, sociali, civili o politiche che siano state.

La “sorte” di Spike Lee, nel mondo del cinema, sarebbe toccata a distanza di qualche anno a Mathieu Kassovitz con il suo La Haine, che descriveva comunque la vita ai margini della società francese: il film fu considerato esagerato, stroncato dalla critica e etichettato come sovversivo. Allo stesso modo la situazione francese è ancora attuale e se il regista dovesse proporre un sequel, come da forti rumors, sicuramente ci sarebbe un’ennesima lotta culturale, tra denuncia e abnegazione, il che non risulta essere un fattore negativo: non c’è evoluzione né tantomeno progresso senza che i due ordini, il “vecchio” dominante e il “nuovo” in divenire, si scontrino prima.

Cultura
Lascia un commento

I commenti sono moderati. Vi chiediamo cortesemente di non postare link pubblicitari e di non fare alcun tipo di spam.

Invia commento

Twitter:

sabato 21 Dicembre 2024