Lo Stato Sociale, due chiacchiere con Alberto “Bebo” Guidetti

Alberto “Bebo” Guidetti è uno dei membri fondatori della band Lo Stato Sociale. A distanza di un anno da date molto importanti nella sua carriera – come il suo primo EP da solista o la partecipazione con la band alla 71° edizione di Sanremo – è più attivo che mai: nel campo redazionale, in quello letterario e nel sociale. Di seguito potrete trovare una piccola conversazione con lui, sotto forma di Q&A.

Parentesi Sanremo, un anno fa sul palco avete portato “Non sarà per sempre”, degli Afterhours, elencando poi le attività nel mondo dello spettacolo chiuse dopo i trascorsi degli ultimi tempi. Avete concluso con un sonoro: “Non sarà per sempre. Credeteci, i nostri fiori non sono ancora rovinati”. Questi “fiori”, torneranno a sbocciare davvero?

Mi auguro che sboccino ancora e che possano sbocciarne di nuovi. Gli anni di pandemia hanno acuito la precarietà di un settore non regolato da leggi moderne, facendo emergere come contrappunto l’incapacità ministeriale nell’affrontare questa enorme e devastante crisi. Ci siamo imposti per anni come limite al deserto che avanzava nelle vite delle persone e siamo rimasti noi desertificati per le lacune altrui. Sul tavolo ci sarebbe anche una riforma scritta dal basso: sarebbe bello aver fiducia in questa possibilità, ma dall’alto sono arrivati già parecchi no.

Guccini cantava di “non aver mai detto che a canzoni si fan rivoluzioni”, quale ruolo pensi che la musica possa giocare in questo delicato periodo storico? Non solo per la pandemia, non solo per la guerra, quale può essere il ruolo della musica oggi come oggi, tenendo conto delle circostanze?

Premetto che Guccini a me sta da sempre antipatico e quella frase non fa che acuirne il sentimento. La musica e in generale l’arte esprime l’esistenza di grandi desideri, cerca di sintetizzare istanze già esistenti per portare – quando possibile – ad una catarsi collettiva. Marx e Engels hanno scritto libri da migliaia di pagine per fornire un test, non certo una canzone o un dipinto, tuttavia i popoli conoscono le canzoni, gli artisti, la cultura popolare appunto. Questa cultura è uno dei veicoli per unire le persone. E, a ben guardare, uscendo da una lettura strettamente euro-centrica e caucasica, durante il ‘900 l’arte ha spinto in avanti molte delle libertà di cui godiamo ora.

Dieci anni di Turisti della democrazia, Lodo parla a Mashable di un “grande smarrimento nel mondo della musica”, di una “sconfitta per lo Stato Sociale”, specie per la piega che il mercato della musica sta prendendo. Qualcosa da aggiungere, correggere, o ti senti di confermare quest’idea?

È un’intervista che secondo me è riuscita a metà, nel senso che io capisco molto bene cosa dice Lodo in quelle frasi, perché ho vissuto e prodotto quei ragionamenti con lui e tutta la band. D’altra parte è un concetto talmente ampio da sviscerare che richiederebbe almeno un’oretta. Facendola breve: noi ci siamo illusi che il nostro modo di muoverci dentro al mercato della musica (discografia e live) potesse creare una frattura e creare “una dinastia” direbbero in NBA. La verità è che il 90% dei nostri amici e colleghi in questi anni ha preferito giocare di sponda con chi questo settore lo sta inaridendo. Sono scelte, ognuno poi deve fare i conti con sé stesso. Noi pensavamo di poter dire “se ce la facciamo noi, è davvero possibile”. Non è stato così.

Per tutti gli Andrea di oggi quale consiglio ti sentiresti di dare? 

Difficile a dirsi. Alle volte fatico anche io a ripetermi i piccoli/grandi mantra per tenermi a galla. Cercate qualcuno che vi somiglia, che sia nella vita reale o in quella digitale. Cercate qualcosa che vi piace fare e se qualcuno vi dirà che quella cosa è stupida, avrete la certezza che è giusta per voi.

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sabato 21 Dicembre 2024