Le parole sono vive: nascono, si evolvono e muoiono. La loro è una genealogia riconducibile a quella che è la loro funzione ultima: trasmettere un significato. Forse il linguaggio può essere metaforicamente associato ad un grande telefono senza fili: un passaparola continuo che storpia i significati originari delle parole nel momento stesso in cui li diffonde. Errori cumulativi, ambienti differenti e deviazioni di percorso possono causare notevoli rivisitazioni linguistiche, dando spesso origine ad interpretazioni errate e distanti dal contesto originario.
E quale esempio migliore dei modi di dire o dei proverbi popolari? Uno degli enigmi più intricati e interessanti della lingua italiana è probabilmente la locuzione “in bocca al lupo”, una straordinaria esemplificazione di telefono senza fili. Ma prima di analizzare l’evoluzione terminologica di questo modo dire, è importante ricordare il significato che attualmente esso assume.
L’espressione “in bocca al lupo” fa riferimento all’ambito della scaramanzia e viene il più delle volte utilizzata per scongiurare una situazione sgradita assumendo le sembianze di un augurio. Insomma, un auspicio speranzoso dalla funzione apotropaica, un augurio bizzarro, quasi un malaugurio che – se meglio analizzato – nasconde al suo interno profondi malintesi. Non mi riferisco al contrasto tanto antico quanto mai rimarginato tra chi – in risposta all’augurio – replica “crepi” e chi invece ribatte “viva il lupo”. E non faccio nemmeno riferimento alla natura dello stesso lupo, a cui il modo di dire sembra alludere. I grandi equivoci interpretativi risalgono ai momenti primordiali di questa espressione, quando l’interpretazione propiziatoria e l’allusione ferina non avevano ancora preso il sopravvento.
L’origine etimologica di questa locuzione sembra infatti risalire alla Grecia dell’antichità. “In bocca al lupo” è la storpiatura italiana della locuzione greca “Émbaine álupon (odón)”, un augurio rivolto ad un amico in procinto di partire e che letteralmente significa “Imbocca una strada non pericolosa”. L’assonanza nella lingua italiana è pressoché evidente e ha subìto nel tempo un’inevitabile correzione fonetica: “Émbaine” è diventato “in bocca” e “álupon” si è trasformato in “lupo”. Ed ecco la magia: una frase propiziatoria stropicciata e riadattata dal grande telefono senza fili del linguaggio che, bocca dopo bocca, ha assunto i tratti odierni fino a diventare – appunto – “in bocca al lupo”.
Un’origine particolare e inaspettata determinata dalla forza modificatrice del passaparola. E come rispondere quindi a questo capolavoro terminologico? In Grecia si usava rispondere “Chrê”, ovvero “è necessario”. Di conseguenza, quando dal viaggio si è passati al lupo, attraverso una correzione logica anche la stessa risposta si è dovuta ugualmente adattare ed è diventata “Crepi”, ovviamente in riferimento al lupo. Un comune esempio di come la mente umana sia solita giocare con le parole e con la fantasia, riadattando significati, termini o intere frasi sulla base di contesti e usi differenti. Un invito a non dividersi più tra coloro che scelgono di augurare la morte o, al contrario, esaltare la vita di un semplice animale come il lupo, ma a cogliere la verità che si cela dietro questo augurio così intricato quanto antico. Un modo di dire che semina dietro di sé tracce di storie trasmesse, incomprensioni comunicative e vissuti popolari, la cui origine etimologica diventa fondamentale per poterne cogliere la vera bellezza.
Twitter:
giovedì 21 Novembre 2024