“Mamma, Papà, vado a vivere da sola!”
Ecco quello che hanno dovuto sentirsi dire i miei genitori circa due mesi fa, quando ho annunciato il lieto evento, in una domenica pomeriggio di settembre. Lieto poi… mica tanto! Preceduto da giorni di gastrite e ansia da rivelazione, è stato un momento complicato per ben tre motivi: 1) io vivo in un paese del sud Italia (sapete, uno di quelli in cui la mentalità si è fermata agli anni ’60); 2) l’ho fatto proprio da sola, senza un uomo, un compagno, un coinquilino… nemmeno un cane; 3) l’ho fatto nella mia stessa città, nessun chilometro di distanza tra le mie radici e la mia indipendenza, nessun lavoro o studio “su al nord”.
Niente di tutto questo: sono pugliese, ho 28 anni, single, un lavoro precario e ho deciso di andare a vivere da sola. Nulla di sconvolgente per i più, ma chi vive da Roma in giù ed è cresciuto con l’idea che, per abbandonare il tetto materno, la chiave è una fede al dito, potrà capirmi.
E in effetti, i primi tempi, non è che mi abbiano proprio compreso. Mia madre che inizialmente metteva in dubbio il suo esser stata un buon genitore e poi è passata alle torture psicologiche (“e se non ti rinnovano il contratto?”), mio padre che si è sentito abbandonato, rifiutato, proprio adesso che con la pensione avrebbe potuto passare più tempo in famiglia.
Non capivano che quella per me non era una decisione “contro” qualcuno o qualcosa, che non era stata presa perché con loro non stavo più bene, ma perché ad una certa distanza, con loro, ma soprattutto con me stessa, potevo star meglio. È stata una scelta “pro”. Pro me. Sì, perché finalmente sto imparando sulla mia pelle quanto sia complicata la spesa, le offerte, i carrelli, gli odiosi “formato-famiglia” che a te basterebbero per un anno intero; che ci vuol attenzione per arrivare a fine mese senza ansie; che il bucato non si lava e si stira da solo; che si può vivere senza uno schiacciapatate, un set di mille pentole d’acciaio o un robot da cucina. Sto imparando quanto è bello leggere alle tre di notte perché non hai sonno e nessuno si lamenta in camera perché hai la luce accesa; sto imparando quanto sia bello addormentarsi in un angolino e ritrovarsi al mattino in diagonale nel letto. Sto apprezzando il silenzio, quello in cui anche un respiro si sente.
Sto apprezzando il tempo, in particolare quello dedicato agli altri, perché è scelto, ponderato, desiderato. Sto scoprendo la reale differenza tra voglie e necessità. Sto capendo che le distanze sono più nella testa che nei chilometri, e che, a volte, basta voltare l’angolo per trovare la giusta misura tra te e il mondo.
Le parole sono il mio pane quotidiano. Ne sento tante e ne dico altrettante. Ma le parole, si sa, non rimangono ed è qui che metterle nero su bianco diventa necessario. Per dare ordine al caos, per focalizzare i punti, per imprimere momenti, dare colore ai suoni, affinché restino.
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giovedì 21 Novembre 2024