Una scuola a misura di chi?

Credo di averlo già scritto in altre trenta righe, ma aiuta ripeterlo: l’obiettivo primario della scuola dovrebbe essere l’educazione, e non l’istruzione, delle future generazioni. A 99 studenti su 100 non serviranno mai, una volta completato il ciclo di studi, le terzine dantesche, gli assiomi matematici o i prodromi delle guerre puniche. A 99 studenti, anzi facciamo 100, su 100 serviranno l’essere stati ascoltati e l’aver ascoltato, l’essere stati rispettati e l’aver rispettato, l’essere stati al centro di una relazione di cura. 

Non metto per caso la forma passiva al primo posto: sto avendo a che fare con ragazzi e ragazze della scuola superiore ormai da quattro anni e mi sono reso conto che nulla si ottiene con l’imposizione della propria autorità. Cioè, si ottiene probabilmente un ragazzo o una ragazza che conosce le terzine dantesche, gli assiomi matematici e i prodromi delle guerre puniche, e forse nemmeno questo. Di certo sarà difficile avere una persona che, al termine del proprio percorso scolastico, sappia ascoltare, rispettare, instaurare una relazione di cura. Queste cose non si insegnano, ma si dimostrano con l’esempio.

Questo sì, sono sicuro di averlo già scritto: è più facile insegnare che educare, perché per insegnare basta sapere, mentre per educare è necessario essere. È una massima di Luis Alberto Hurtado, o così almeno riferisce la vulgata. La cura non si insegna. La disponibilità all’ascolto, la sensibilità, l’empatia sono in parte innate e in parte si affinano se si incontrano le giuste persone sulla strada. Ma non c’è un manuale, non ci sono linee guida: non basta sapere, bisogna essere. Ed esserci. Con il proprio esempio, prima di tutto. Ed è chiaro che, se bastano due ore per spiegare i prodromi delle guerre puniche, per instaurare un rapporto educativo servono mesi e mesi. Probabilmente anni. Serve quindi continuità, perché una relazione si costruisce nel tempo.

Arriviamo alle note dolenti. In questi giorni il concorso scolastico promosso grazie ai soldi del PNRR sta immettendo in ruolo (diciamo così, anche se la situazione è più complessa) migliaia di nuovi docenti. Il problema è che non è agosto, ma dicembre. Le scuole quindi non stanno per cominciare, ma sono iniziate già da un pezzo. Che cosa significa? Che il migliaio di neoimmessi in ruolo abbandonerà le cattedre che ha ricoperto in questi tre mesi di scuola a favore di altre. Ma questa è solo una tessera del domino. L’altra coinvolge i docenti che in questi mesi hanno insegnato sulle cattedre accantonate per i vincitori del concorso, cattedre che ora dovranno abbandonare per cercare fortuna altrove. Insomma, centinaia di migliaia di studenti e di studentesse dovranno resettare questo anno scolastico e ricominciare da capo: nuovi metodi di insegnamento, diverse esigenze, caratteri particolari. Addio quindi, continuità. Addio, relazione di cura. 

A ben vedere, forse, l’obiettivo primario della scuola non è l’educazione. Altrimenti qualcosa non quadra.

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mercoledì 18 Dicembre 2024