Siamo Europa Festival: “Imparare dal passato per un futuro migliore”
Ripercorrere il passato, rielaborarlo e non dimenticarlo sono le azioni fondamentali per poter costruire un futuro migliore. Questo è emerso dal toccante racconto – venerdì 13 maggio, al Festival Siamo Europa – di Edith Bruck, scrittrice e poetessa ungherese naturalizzata italiana, testimone diretta della Shoah.
La serata, a cura di Europe Direct Trentino – CDE Trento, si è svolta sottoforma di dialogo condotto da Andreas Fernandez, accompagnato dalle letture di alcune emozionanti poesie di Edith Bruck dalla voce di Ester D’Amato.
La signora Bruck aveva dodici anni quando la sua famiglia venne deportata ad Auschwitz. Il ricordo di quel giorno – e in particolare dello schiaffo ricevuto da suo padre dal gendarme incaricato – è ancora impresso nella sua mente: «È stato il momento più doloroso della mia infanzia, da lì è cominciata la fine».
Nonostante dal campo di concentramento fecero ritorno solamente in due, la donna ammette di non aver mai smesso di sperare, poiché «la speranza esiste dove esiste umanità e se anche trovi una persona su mille, o molte di più, che all’interno del campo ti chiede il nome o offre qualcosa, significa che non è sempre tutto nero». Il riferimento è poi odierno: «Non possiamo perdere la speranza neanche oggi, nemmeno se le cose sembrano ripetersi in modo negativo». Chiaro il collegamento alla guerra, per la quale la poetessa ha voluto esprimere un monito: «Tutte le guerre ci riguardano, non solo ciò che è vicino e simile a noi. È doloroso e deprimente e ci riguarda in quanto esseri umani».
Dal dialogo è emersa anche l’importanza dell’educazione e di quanto sia fondamentale «educare alla speranza e alla pace, alla condivisione creatrice di pace». In questo, un ruolo cardine lo hanno i genitori, ancor prima della scuola, perché i primi passi di ognuno dipendono dalla famiglia. A proposito, anche un appello: «Bisogna occuparsi dei giovani perché il futuro è loro».
Alla domanda sul perché l’Italia, la poetessa ha risposto «non ho avuto scelta». La storia personale di Edith Bruck, in seguito alla liberazione di Auschwitz, è difficile e dolorosa, segnata da momenti di pellegrinaggio e di fuga, alla ricerca di un posto dove sentirsi di nuovo a casa. Dopo Cecoslovacchia, Germania e Israele, la donna giunse in Italia, a Napoli, dove «i sorrisi e gli sguardi di benvenuto mi hanno fatta sentire in un luogo famigliare, anche se non aveva nulla a che fare con ciò che lo era in precedenza». La decisione è stata quindi quella di rimanere in Italia, di trasferirsi a Roma e di imparare l’italiano, utilizzato poi per scrivere: «Scrivevo perché la carta ascolta sempre, le persone no. Scrivevo in italiano perché mi faceva sentire libera, l’ungherese invece mi faceva male, anche se le lingue non hanno alcuna colpa».
Si è toccato infine il tema del negazionismo dell’olocausto, presente anche nelle opere di Primo Levi. I diretti testimoni della Shoah sono sempre meno, viene dunque da chiedersi cosa accadrà dopo. La signora Bruck ha riconosciuto come fondamentale il ruolo degli insegnanti che non devono dare nulla per scontato ma, al contrario, «trasmettere ai giovani nel modo giusto». L’ascolto delle testimonianze è importantissimo: «Se ho cambiato anche solo trenta vite, raccontando, significa che la mia sopravvivenza non è stata inutile. Racconto anche per chi, nel campo di concentramento, mi disse “se sopravvivi racconta anche per noi”».
La serata si è chiusa con un’ulteriore riflessione sulla pace, prendendo sempre di ispirazione la figura di Edith Bruck che, una volta liberata, non provava voglia di rivalsa e non ha denunciato, poiché «non si combattono odio e violenza con altrettanti odio e violenza».
Questa è la lezione più importante.
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giovedì 26 Dicembre 2024