Siamo Europa Festival: i Balcani bussano alle porte dell’Unione Europea. A noi il compito di ascoltarli
Ora che si parla di adesione dell’Ucraina all’Unione Europea saltano fuori i Balcani, che questo desiderio l’hanno manifestato già all’inizio degli anni Duemila, dopo due sanguinosi conflitti: quello che ha coinvolto l’ex Jugoslavia e quello che ha invece investito il Kosovo.
Cosa frena, dopo vent’anni, l’adesione dei Balcani all’Unione Europea? Se ne è discusso al Festival “Siamo Europa”, in occasione di un incontro dal titolo “Balcani e Unione Europea: quale futuro?”, a cui hanno preso parte Luisa Chiodi dell’Osservatorio Balcani Caucaso, il professore di diritto pubblico comparato dell’Università di Trento Jens Woelk e i ragazzi e le ragazze dello EU Balkan Youth Forum.
Dopo vent’anni, solo la Croazia è riuscita a entrare nell’Unione Europea. Con la guerra in Ucraina, l’area balcanica rischia di trasformarsi in una polveriera caratterizzata da un’alta instabilità alimentata dalla Russia. Spesso si parla di “balcanizzazione” per indicare uno stato di cronico disordine, ma nel corso dell’incontro è stato più volte sottolineato come i Balcani siano lo specchio della nostra Europa. I Balcani, insomma, siamo noi. Ma in questo momento sono russi e cinesi, oltre che i turchi, che ci stanno investendo maggiormente. “I cinesi in infrastrutture, i russi dando sostegno politico e militare”, ha spiegato Luisa Chiodi, aggiungendo che un punto che ostacola l’adesione dei Balcani all’Unione Europea, dal punto di vista dei Paesi dell’Unione, è “la paura che la Francia, l’Olanda e la Danimarca nutrono nei confronti della questione migratoria”. Già ora i Balcani sono caratterizzati da un’altissima percentuale di persone emigrate; il timore è dunque che, permettendo a questi Paesi di entrare a far parte dell’Unione Europea, la diaspora aumenti ancora di più.
I Paesi stessi di quell’area sono però lontani dall’aver “fatto i compiti”, cioè dall’aver adempiuto a tutta quella serie di parametri che servono per entrare a far parte dell’Unione Europea. “Si tratta di Stati caratterizzati da un forte controllo dei media da parte dei governi – ha detto Chiodi; paesi con problemi di corruzione, migrazione, derive autoritarie e conflitti etnici mai sopiti. Paesi che fanno ancora fatica a uscire dagli stalli politici che hanno originato la guerra e che sono stati originati dalla guerra”.
Tra i Paesi più lontani dall’adesione all’Unione Europea ci sono il Kosovo e la Bosnia Erzegovina, le aree più colpite dai conflitti degli anni Novanta. Cinque Paesi dell’Unione Europea, inoltre, non riconoscono ancora il Kosovo, “il cui conflitto con la Serbia – ha aggiunto Chiodi – è uno dei nodi della crisi politica regionale”.
La vera questione, secondo il professor Woelk, è se noi stessi, che ci professiamo europei quando dobbiamo valutare altri Stati, crediamo ancora all’Unione Europea. Secondo Woelk la risposta è negativa. “Basta citare Ungheria e Polonia – ha detto -, mentre nell’Unione Europea ci credono ancora i Balcani, che hanno un altissimo tasso di emigrazione verso i nostri Stati membri. Noi crediamo all’Unione Europea solo quando accade qualcosa di spettacolare, come la richiesta dell’Ucraina di entrare nel gruppo di Stati membri. Ma non abbiamo un’idea chiara e un’idea politica che ci faccia costruire un futuro”. La “reazione empatica” nei confronti della domanda di adesione dell’Ucraina ha fatto riemergere il quesito: e allora i Balcani? Sono lì che “bussano” alle nostre porte da anni, e stanno ancora aspettando una risposta. “Una risposta che non è ancora arrivata e che temo non arriverà”, ha aggiunto Luisa Chiodi.
Assieme ai ragazzi dello EU Balkan Youth Forum, si è discusso molto di quali potrebbero essere gli incentivi per rendere l’Unione Europea desiderabile agli occhi dei Balcani e per rendere i Balcani desiderabili agli occhi dell’Unione Europea. Che cosa se ne fa Vienna di un Danubio sporco e inquinato, per fare solo un esempio? L’ambiente è una questione senza confini, e dialogare con Belgrado – uno dei Paesi attraversati dal Danubio – è cruciale. Come pure è cruciale parlare di diritti umani, un’istanza che l’Unione Europea ha sposato più di tante altre organizzazioni internazionali e che riecheggiava quando, a settembre 2019, a Sarajevo c’è stato il primo pride della storia del Paese. Per far questo, però, i partecipanti all’incontro hanno convenuto sul fatto che c’è bisogno di essere più severi nei confronti di quei Paesi che, pur stando all’interno dell’Unione, violano le sue regole fondamentali. Non possiamo chiedere ai Balcani di sottostare a rigidi standard di democrazia, stato di diritto e diritti umani se poi quegli stessi principi vengono violati quotidianamente a Varsavia e a Budapest.
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domenica 22 Dicembre 2024