L’esca

Avvinta al petto di quella che per età avrebbe potuto essere sua nonna, Ana scalciava in aria velocemente, con i minuscoli piedi fasciati in calze a pois celesti così sudicie da sembrare grigie. Stagliati sopra la voce cantilenante della zingara, i suoi gridolini divertiti risuonavano nel vagone semivuoto.

Nella desolazione di quelle luci al neon, Ana non cercava altro che uno sguardo con cui dialogare, facendo capolino dalle spalle ossute di quell’estranea cui era serrata da una prigione di stracci. A nulla valevano però le sue grida e i suoi movimenti eclatanti: nessun sorriso per lei; tutti i passeggeri con gli occhi ostinatamente fissi al pavimento di linoleum.

Gli unici sguardi incrociati per sbaglio erano sfuggenti e carichi di una pena fittizia, generata dal senso di colpa.
Eppure stavolta quell’essere indifeso non era immobile come un fantoccio; non si poteva provare semplice disprezzo per l’accattona che la trascinava con sé lungo il vagone; non si poteva solo avere ribrezzo di quella infame pratica che cercava di aprire i portamonete attraverso la pietosa esposizione del cucciolo.

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Questa volta Ana aveva mani e piedi per agitarsi e una voce per far percepire la sua esistenza. Ma chi poteva curarsi della volontà di una neonata? Di certo non quella donna che continuava a proporle con insistenza il biberon di latte annacquato; né tantomeno la platea di uomini chini sui propri telefoni, che da lei distoglievano lo sguardo per indifferenza, fastidio o semplice ignavia. Anche i poliziotti di guardia si limitavano a schernire la zingara, come fosse una cagna macilenta da prendere a calci per il puro gusto dell’umiliazione: dondolandosi tronfiamente sui loro stivali lucidi, sbeffeggiavano platealmente la donna, fra le occhiate compiaciute dei benpensanti.

Nessuno si curava di Ana: della sua felicità, come del suo pianto.
E d’altra parte, cosa poteva saperne ancora quella creatura di aver ricevuto, assieme alla vita, anche il suo destino? Era ignara di essere una semplice esca, e l’essersi palesata a quella misera fetta di mondo sotterraneo non cambiava la realtà della sua esistenza: fra non molti anni si sarebbe trovata dall’altra parte della lenza.

Il piagnucolio della zingara si andava perdendo nel sordo ronzio del passaggio in galleria, mentre tintinnavano nel suo bicchiere di carta i pochi spiccioli di chi non aveva saputo tenere gli occhi bassi.

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mercoledì 30 Ottobre 2024