Il museo del fallimento
Quanto mi sento in colpa solo per non essere stata capace di finire il mio libro. Mi annoiava a morte, eppure avrei dovuto finirlo ed il fatto di averlo riposto sullo scaffale a metà lettura, fa di quel libro il simbolo di un mio fallimento. Piccolo e innocuo, certo, nessuno vuole farne un dramma. Eppure chi dice che le cose piccole non contano, è solo un bugiardo. Qualunque cosa ci accada conta, in misure diverse, ma se io non ricevessi più il messaggino del buongiorno da parte di mia madre, che me lo invia ogni giorno alla stessa ora, mi agiterei, mi chiederei perché, penserei ad un suo malore o peggio. Amo quel messaggino. Un esempio di qualcosa di grande in una forma pressoché insignificante.
Il peso dei fallimenti è un nome singolare che grava sulle nostre spalle e però spesso è composto da molti plurali, molte disavventure, alcune insicurezze, fatti trascurabili, ma accumulati. Chi può vantarsi di aver fatto un unico grosso errore in tutta la sua vita?
Forse Napoleone a Waterloo, ma gli storici sanno che non è andata esattamente così.
“Errare humanum est” è la celeberrima frase di Seneca, quella alla quale ci aggrappiamo ogniqualvolta il nostro sbaglio ci fa sentire male. Certamente il filosofo romano la sapeva lunga e poneva già l’accento non tanto sull’errore, ma sull’esperienza che da questo si poteva trarre per migliorare, ma non basta.
E allora guardiamo con i nostri occhi e tocchiamo con le nostre mani i grandi fallimenti di aziende diventate poi dei veri colossi. Dove? A Helsingborg, in Svezia, al Museo del fallimento.
L’obiettivo è quello di superare il totalitarismo dell’errore, combattere il suo potere smisurato e vederlo per quello che realmente è: un passaggio. Breve o meno breve, il fallimento è un ponte tra ciò che non sapevamo e ciò che abbiamo imparato. Non è necessario soffermarsi, né tanto meno identificarsi con esso. Si passa, si cammina, si saluta e ci si prepara a percorrere una strada migliore.
A Helsingborg troviamo le prove tangibili del nostro discorso: i progetti fallimentari di Apple, Bic, Colgate, Nokia, Coca Cola… Si sprecano i nomi famosi che hanno sbattuto contro dei clamorosi “No” del mercato. Eppure, dopo, sono diventati comunque dei giganti.
Dalla scienza, alle investigazioni, dalle analisi, alla psicologia sappiamo che oggi tutto ha un margine di errore, che il grado di fallibilità umana è sempre più forte della nostra smania di perfezione. E allora che fare? Concediamoci la possibilità di non essere straordinari. Pensiamo che poter sbagliare è un privilegio per potersi migliorare ogni giorno, per non rimanere sempre uguali a se stessi. Togliamoci dalle mani e soprattutto dalla testa il segno della penna rossa sul foglio bianco.
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giovedì 21 Novembre 2024