L’occhio su Trento: la guardiana di pietra di Piazza Duomo

Foto di Ilaria Bionda

Forse non tutti sanno che a Trento, in Piazza Duomo, c’è una particolare guardiana di pietra. L’occhio su Trento, in questo appuntamento, ci porta alla scoperta di un gioiello della piazza che potrebbe passare inosservato: la fontana dell’Aquila.

Collocata all’angolo di Casa Cazuffi-Rella, la suggestiva casa dipinta all’imbocco di Via Belenzani, questa fontana – così come alcune delle altre fonti cittadine più famose – è da sempre un punto di ritrovo e aggregazione, ma potrebbe non essere facilmente notata da chi, distratto, si trova a passeggiare per il centro storico.

La maestosa aquila che la sovrasta è quella di San Venceslao, la stessa rappresentata nello stemma della città di Trento, ed è scolpita nell’atto di sprimacciarsi l’ala destra con il becco. Il progetto iniziale fu dell’ingegner Leonardi, quello definitivo di Stefano Verner, che la portò a termine nel 1850. È anche possibile che tale manufatto provenga da una fontana precedentemente esistita nei pressi della Chiesa di San Pietro, smontata nel momento del rifacimento della facciata della chiesa in stile neogotico.

Ma ciò che è più curioso, a proposito di questa fontana, è la leggenda che ne narra la genesi, diffusa in due versioni, opposte ma con lo stesso finale. Una racconta che tale Gian Giorgio Scanda di Sardagna venne accusato ingiustamente di omicidio e condannato a morte. Giunto sul patibolo – posto di fronte alla Torre Civica e a Palazzo Pretorio, allora sede del tribunale – l’uomo vide un’aquila sorvolare Piazza Duomo e disperato urlò «l’aquila diventi di pietra se io sono innocente!» Così accadde, egli si salvò e l’aquila rimase dove si era posata a riposare prima di tramutarsi.

L’altra versione, invece, ha come premessa l’addomesticazione dell’aquila, proveniente dal Monte Bondone, da parte dell’uomo e una stretta amicizia tra i due, che scaturì in gelosie e nella colpevolezza di quest’ultimo per omicidio. L’animale mandò un usignolo in prigione, con la funzione di messaggero, per comunicare l’offerta di salvare Gian Giorgio a patto che non dichiarasse il falso. Durante il processo, nonostante la sincerità, i giudici non gli credettero a causa della sua fama negativa e lo condannarono. Al momento dell’esecuzione, l’uomo vide l’animale e, arrabbiato per il mancato aiuto, gridò: «Se io mento che tu, maledetta, diventi di sasso». La trasformazione in pietra, dunque, ne provò la colpevolezza e approvò la condanna.

Qualunque sia stata la storia di questa fontana, quello che conta è che al giorno d’oggi l’aquila veglia, inosservata e silenziosa, insieme al non lontano Nettuno, sui passanti affaccendati, sui turisti e su tutti gli amici che la utilizzano come punto di riferimento per ritrovarsi.

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venerdì 3 Gennaio 2025