L’Esperanto, una lingua oltre i confini

C’è una lingua per ogni Paese, un dialetto per ogni città, una cadenza per ogni individuo. Questa diversità è una ricchezza che permette al mondo di essere “bello perché vario”, anche linguisticamente. Alla fine dell’800, però, l’oculista polacco di origine ebraiche L. L. Zamenhof decide di concretizzare il suo sogno di far dialogare tra loro i diversi popoli, superando le diversità linguistiche, con l’ambizione di raggiungere una duratura pace data dalla comprensione reciproca. Comincia così la storia dell’esperanto.

L’esperanto fa parte delle lingue artificiali internazionali, anche dette ausiliarie poiché create con lo scopo di facilitare la comunicazione tra Paesi, non utilizzando una lingua franca imposta con la forza (come nel caso dell’inglese dal colonialismo). Tra queste, la lingua di Zamenhof è la più diffusa e conosciuta, ma non l’unica. Tra le sue “cugine” si annoverano: la lingua ido, l’interlingua, il volapük e il Glosa.

Grande semplicità fonetica, grammaticale e lessicale, sono le caratteristiche più importanti dell’esperanto, sviluppatasi tra il 1872 e il 1887 e presentata nel Primo Libro con il nome di “lingua internazionale”. L’attuale denominazione deriva invece dal significato “colui che spera”, tratto in particolare dallo pseudonimo del suo creatore che si faceva chiamare “doktoro esperanto”, proprio perché intriso di speranza per la realizzazione del suo sogno.

L’esperanto è una lingua agglutinante, presenta quindi diverse radici alle quali aggiungere prefissi e suffissi che esprimono le categorie grammaticali. Il risultato non subisce né variazioni né declinazioni, conferendo così regolarità alle regole linguistiche che, contrariamente a quanto accade nelle altre lingue da cui derivano, non possiedono eccezioni. Sì, Zamenhof non ha creato alcuna regola da zero e questa scelta deriva dal garantire una facilità di apprendimento, oltre dalla necessità di conferire all’esperanto l’espressività di una lingua reale. Queste due ultime caratteristiche risultano fondamentali, dal momento che è una lingua che deve appartenere all’umanità intera e fungere da lingua seconda per una migliore comunicazione. Anche i vocaboli – per lo stesso motivo – provengono da lingue preesistenti, principalmente da latino, lingue romanze quali italiano e francese, germaniche come inglese e tedesco, slave tra cui russo e polacco, con qualche termine dal giapponese.

Esperantujo è il termine in esperanto utilizzato per indicare il Paese degli esperantisti – con propria bandiera e proprio simbolo – che comprende la comunità dei parlanti, sparsi in 120 Paesi e stimati al momento intorno ai due milioni. Nel corso della storia vi sono poi state anche alcune micro-nazioni che hanno adottato l’esperanto come lingua ufficiale, tra cui l’Isola delle Rose.

L’esperanto non è solo una lingua, ma anche una ricca cultura, che produce tutte le arti, dalla poesia alla prosa, dal teatro alla musica e, a Vienna, possiede addirittura il suo museo.

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venerdì 3 Gennaio 2025