India e Coca Cola: sta arrivando il momento di dire “basta”?
Il clima caldo e umido del Subcontinente Indiano, misto alla sapidissima cucina indocinese, sembrerebbe avere una sola possibile soluzione quando si tratta di scacciare la sete: la fresca e frizzante Coca Cola. La bevanda più diffusa al mondo – si dice sempre che “sia disponibile dappertutto, meno che in Corea del Nord” – potrebbe essere definita come un’ottima alternativa all’acqua, ma in questo caso non si tratta nemmeno di avere possibilità di scelta, perché il costo della miscela segreta, nata nell’ormai lontano 1866, è inferiore a quello dell’acqua, per quanto, ovviamente, per produrre un litro di coca cola sia necessario ben più di un litro di acqua. Il rapporto tra le due parti è stato una sorta di indicatore nella coscienza della gente e dello stato; proprio per questo – visto il momento storico che stiamo percorrendo – la corda sembrerebbe essere più vicina che mai allo strapparsi.
La Coca Cola è entrata nel mercato indiano a qualche anno di distanza dall’indipendenza, arrivata nel ’47, e prima che il neonato governo socialista potesse scacciarla, la bibita americana era già radicata nella cultura comune della gente. Il tutto non avvenne nemmeno troppo di soppiatto: delle statistiche dei tempi riportano di come solo il 10% dei villaggi avesse accesso all’acqua potabile, mentre il 90% aveva accesso alla Coca Cola. Il primo grande scontro è arrivato negli anni ’70, quando una grande crisi colpì lo stato e – tra le tante misure del momento – il governo scelse di proibire a ogni compagnia estera di possedere più del 40% di ogni attività in India, tentando di strappare una fetta di mercato anche alla Coca Cola, che ovviamente scelse di lasciare la presa, così come altre decine di attività americane. Solo a distanza di venti anni circa – alla caduta del governo socialista – la Coca Cola fece il suo rientro in grande stile: più economica dell’acqua e molto più problematica, eticamente e per dispendio di risorse, di tutti i surrogati nati a livello locale nel frattempo. Quando si parla dei vari facsimili, è bene ricordare di come la ricetta sia “segreta”; conosciamo cosa c’è all’interno ma non come viene combinato il tutto, proprio per questo è molto difficile ripeterla esattamente come quella creata dal Dottor John Pemberton.
È proprio nel periodo di assenza dal mercato che è possibile trovare il primo elemento che, attualmente, potrebbe mettere in difficoltà uno dei più grandi brand a livello globale: tra le tante sottomarche nate, ce n’è una in particolare che è finita per diventare la “Coca Cola Patriottica”, la Campa Cola. La Campa è di recente stata acquistata dall’uomo indiano più ricco in circolazione, Mukesh Ambani, che sembra intenzionato ad ogni costo a riportarla in auge, per quanto sarà molto difficile eradicare dalla mentalità, in particolare da quella dei più giovani, il concetto idealizzato che abbiamo un po’ tutti a riguardo della Coca Cola. Potrebbe anche essere una buona maniera per svincolarsi da un mercato come quello statunitense, in un periodo storico geopoliticamente molto delicato, che vede l’India tra le contendenti per il primato del mercato mondiale; c’è comunque da sottolineare come – per quanto l’impatto sarebbe ambientale sembrerebbe prospettarsi minore – che la faccenda non sarebbe comunque stravolta: una porzione di acqua potabile finirebbe comunque per essere processata e imbottigliata, con i ricavi, allo stesso modo, nelle tasche di un magnate come altri. L’altro problema sembra essere ben più concreto e può definirsi come tale solo per gli interessi della multinazionale: la questione delle risorse idriche è stata proposta più e più volte dalla popolazione autoctona e gli scioperi corrono in largo dai primi giorni del ventunesimo secolo ad oggi. È più che auto esplicativa, in questo momento, la voce di Nandlad Master, organizzatore delle proteste nel 2004: “Bere Coca Cola è come bere sangue di contadini in India”; possiamo in ogni caso dire che – da quel giorno ad oggi – la situazione non è cambiata di molto, tutt’altro. L’India conta il 18% della popolazione mondiale, con solo il 4% dell’acqua potabile disponibile sulla terra, quando per produrre un litro di Coca Cola, servono circa due litri di acqua.
Il risultato è un paradosso a tutti gli effetti, perché mentre intere città soffrono degli scarti dei 58 centri di imbottigliamento e per l’assenza di acqua, quest’ultimo bene viene introdotto in un circolo vizioso da cui uscire sembra sempre meno possibile uscire, ma che la presa di coscienza sulla questione idrica e lo scenario geopolitico potrebbero, finalmente, risolvere.
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sabato 21 Dicembre 2024