Il vero compito della scuola
Oggi c’è un’idea molto chiara di scuola, a scuola e nei suoi dintorni. Un’idea che sta riacquistando sempre più forza perché ritenuta unico possibile argine contro la deriva della gioventù contemporanea. L’idea è questa: la scuola deve tornare a essere un luogo di istruzione, in cui si insegna la disciplina e il rispetto nei confronti dell’autorità. Gli insegnanti non devono avvicinarsi agli studenti e alle studentesse: non devono essere loro “amici”.
Non sono d’accordo con questa idea. Sono cresciuto tenendo bene a mente una frase che la mia prof di latino e di greco – una di quelle prof “amiche” degli studenti ed evidentemente tanto invise oggi – amava ripeterci. Credo sia una massima di Alberto Hurtado, ma vado a memoria: “È più facile istruire che educare: per istruire basta sapere, per educare bisogna essere”. L’ho sempre trovata di una verità sconvolgente. Se è vero che la scuola ha perso il proprio ruolo di argine nei confronti della deriva della gioventù (ed è un grosso se), non credo che il problema stia in un’improvvisa lassità di istruzione, ma al contrario in una mancanza di educazione. Proprio perché istruire è facile: basta aprire un libro, raccontare due figure retoriche o risolvere un problema matematico. Per educare è necessario invece chiudere i libri e aprire se stessi, mettendosi in gioco. Lasciare a casa i pregiudizi e i preconcetti ed entrare in classe metaforicamente nudi.
Lo dico chiaramente: sogno una scuola senza programmi e senza voti, senza verifiche e senza compiti, senza cattedre e senza banchi. Sogno una scuola che sia dialogo, conoscenza reciproca, maieutica. Quanta arroganza ci vuole per pensare di poter insegnare qualcosa a un giovane ragazzo o a una giovane ragazza, se si ignorano i suoi interessi e le sue passioni, i suoi problemi e le sue preoccupazioni? Il percorso scolastico non è una legge divina, imposta dall’alto e intoccabile, ma va dosato e continuamente ritoccato per adattarlo alle mille esigenze della quotidianità di una classe. E questo può voler dire anche prendere deviazioni e percorrere sentieri lontani dalle vie maestre. Può voler dire persino perdersi e dover tornare indietro per ricominciare daccapo.
Senza arrivare ad estremi difficilmente percorribili nel sistema scolastico pubblico (ma forse anche in quello privato), basterebbe auspicare la nascita di una scuola che si fondi più sull’educazione che sull’istruzione. Quindi ben vengano anche le verifiche, i compiti e i programmi, ma senza perdere di vista il vero obiettivo, cioè l’educazione. Solo così la scuola potrà dire di aver svolto in maniera autentica il proprio compito: far crescere i cittadini e le cittadine di domani.
Approfondimenti
Twitter:
venerdì 27 Dicembre 2024