Il sonno della scrittura genera mostri

Qualche giorno fa, per caso, ho letto su un testo d’esame di teoria economica questa frase: “non si tratta di risultati non inattesi”. L’ho dovuta rileggere una decina di volte e confesso di non averne capito il senso: la tripla negazione mi ha provocato un tale senso di rabbiosa impotenza che ho allontanato il libro, sconfitto.

Questo tipo di scrittura è tipico dei saggi universitari, della giurisprudenza e del politichese. Basta prendere una normativa ministeriale o aprire un faldone di atti processuali e in pochi attimi ci si perde in un accrocco di coordinate scoordinate e di subordinate insubordinate, di aggettivi come se piovesse, di avverbi dal fascino arcaico e di locuzioni verbali di cui vergognarsi.

È una lingua spaventosa perché distantissima dalla realtà, cioè dal modo in cui una persona qualsiasi si esprime. Per esempio, quante volte diciamo “sono a scriverle”? Nemmeno una: molto meglio “le scrivo”. Eppure capita spesso che nelle mail scappi la prima variante, specie se ci rivolgiamo a qualcuno nei cui confronti proviamo (o pensiamo di dover provare) riverenza. Oppure ancora: perché normalmente diciamo “Costituzione” e non quello che invece si legge nelle linee guida ministeriali per l’insegnamento dell’educazione civica e cioè “trattato costituzionale”? Che cosa ci spinge a usare una lingua che non è nostra e che, anzi, più ci è lontana più ci pare adeguata?

La risposta che riguarda l’average person è molto semplice. Quando approcciamo chi – uso un’espressione orribile ma efficace – sta “più in alto di noi”, tendiamo a infiocchettare il nostro discorso con una caterva di ridicolezze linguistiche per far colpo o quantomeno per non sfigurare, perché crediamo che la lingua infiocchettata che noi sfoggiamo sia quella che il nostro interlocutore usa quotidianamente. Lo facciamo perché ci sentiamo in difetto e (per questo) in imbarazzo e vogliamo compensare la difficoltà apparendo colti, linguisticamente ben dotati. Pur capendo e in parte condividendo questa difficoltà, credere che una lingua artificiosa sia la soluzione è sbagliato. Molto meglio attenersi alla buona saggezza popolare del “parla come mangi”. Altrimenti, rischiamo di suonare ridicoli e vagamente patetici.

Continua…

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giovedì 30 Gennaio 2025