Diventare ed essere madre   

Cosa può fare più male del diventare madre? Provocatoriamente si potrebbe dire essere madre. Un figlio si sente dentro, nelle viscere, sempre, anche quando non c’è più ed è lontano, quando si è separato, come la cosa più naturale e urgente del mondo, per lui, mentre la madre docile soccombe alle sue spinte.

Non solo durante il parto, un figlio non smette mai di spingere. Prima per uscire dal grembo materno, poi spinge per prendere da solo il suo cucchiaino, poi vuole un gioco, poi correre, poi l’altalena, poi vuole la sua musica in auto, poi vuole scegliere tutto e ogni scelta che fa è un’altra spinta decisa verso la sua libertà, per le sue idee, per i suoi sbagli, per il suo tempo.

Ogni spinta lacera un pezzetto, fino a compiere un lungo taglio, verso la fine di questa dipendenza, o adolescenza, per uscire da un corpo materno troppo ingombrante che si estende a macchia d’olio, ben oltre il suo impaccio fisico: in casa, in paese, a scuola, nello sport, in qualsiasi luogo vicino, ma ha anche il potere di osservare tutto e, se non contiene, protegge, lo fa costantemente, senza riserve, senza confini, senza alcun vantaggio.

Nelle nascite, non è vero che si parte in due e si arriva in tre. Madri e figli sono costantemente una cosa unica, fino a quando non si compie il doloroso, lungo e inevitabile cammino di autonomia, al termine del quale rinascono entrambi, uniti nel passato, diversi in tutto il resto, soprattutto nel futuro.

L’idea di madre è gioia, nella cultura corrente che ne esalta gli aspetti romantici, socialmente gratificanti e identitari, spesso creando la similitudine donna uguale madre, il ruolo che dona la vita e il senso di esistere. C’è qualcosa di vero in questo e qualcosa di evidentemente esasperato, come già in molti sostengono, diventare madre ha anche a che fare con esperienze di dolore.

Il figlio, piccola creatura irriconoscente, squarcia e germoglia. Per lui si lacera ogni fibra del corpo di madre che viene attraversato tutto e diviso dalla punta dei piedi fino al cervello, tagliando il sesso, le viscere, i polmoni e il cuore.

Magari si trattasse solo di partorire, invece è così che un figlio nasce: attraversa il corpo di una madre, come un’auto taglia, sfrecciando, la sua autostrada, inevitabilmente, naturalmente, pieno di pretese.

Come si fa a sopravvivere? Forse è questa la vera sfida di ogni madre, vedere i propri figli crescere, invecchiare, soffrire, lottare, gioire, pur sapendo che esisteva un tempo semplice in cui non era necessario farlo. A quel tempo era possibile condividere la stessa pelle, avere lo stesso respiro, stare bene e stare male insieme. Non serviva discutere, giustificarsi e ogni parola era superflua, perché bastava seguire il flusso del sangue che univa due corpi in un unico organismo.

Un figlio è un razzo a propulsione multipla destinato per natura a molteplici universi e incontenibile in un qualsiasi spazio limitato. Ma cosa rimane alle madri, dopo la maternità, dopo il passaggio di un figlio, dopo essere state attraversate, invase e divise in ogni parte del corpo e della mente?

Essere madre consiste nel custodire i ricordi, dilatare il tempo passato, conservando le foto, appendendole con cura per casa, conservando mille video sul cellulare per offrire una sbirciatina ogni volta che è necessario ritrovare quel legame essenziale madre e figlio. Talvolta è necessario farlo ed ecco allora che spunta tra i ricordi il bambino entusiasta per la sabbia al mare, divertito dai tappeti elastici e goloso di tutti i gelati, con quella erre ridicola, spericolato e appassionato di Pokémon.

La madre tiene insieme passato, presente e futuro, è testimone delle radici, ne porta il peso, per cedere il passo a chi ama e deve invece proseguire leggero, pieno di sogni e libero di provare tutto.

Ciò che dona davvero le ali ad un figlio è sapere che ovunque sia ci sarà sempre un posto dove tornare per sentirsi amato, per ricaricare le batterie e per ripartire nella sua corsa verso l’infinito.

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giovedì 21 Novembre 2024