Dare voce a chi non ha voce: la storia di Maria Grazia Cutuli

Dai suk afghani ai villaggi africani alle moschee bosniache, per Maria Grazia Cutuli fare giornalismo voleva dire raccogliere e raccontare le storie degli ultimi, dare voce a chi non ha voce. Per lei non era solo uno slogan, ma un principio a cui ha dedicato un’intera carriera e, soprattutto, tutta la sua vita, anima e corpo, andando “dove la terra brucia”, che è anche il titolo di una graphic novel dedicata alla sua figura inquieta e appassionata. Non riusciva a stare dietro una scrivania, Maria Grazia: aveva bisogno di viaggiare, vedere con i suoi occhi e toccare con mano i fatti di cui scriveva, che erano prima di tutto storie di persone con un volto, degli occhi e dei sentimenti.

Nata il 26 ottobre del 1962 a Catania, Maria Grazia si laurea in Filosofia con una tesi su Michel Foucault e, subito dopo la laurea, inizia le prime esperienze in campo giornalistico: scrive per il giornale “La Sicilia” e collabora con l’emittente “Telecolor”. La sua ambizione la spinge a spostarsi a Milano, dove inizia a scrivere per i mensili “Marie Claire” e “Cento Cose” e per il settimanale “Epoca”. Nel 1997 viene assunta alla redazione Esteri del “Corriere della Sera”, dove rimarrà fino al 2011, anno della sua morte, avvenuta per mano di un gruppo di talebani che ha teso un’imboscata a lei e ad altri giornalisti che stavano cercando di raggiungere Kabul da Jalalabad dopo la resa dei talebani in Afghanistan.

Maria Grazia non era una semplice spettatrice dei luoghi dai quali scriveva. Lo confermano un’esperienza di peacekeeping svolta con le Nazioni Unite e un viaggio in Ruanda con l’Alto Commissariato per i diritti umani. Il suo non era il racconto imparziale di chi, da una scrivania, riporta i fatti accaduti dall’altra parte del mondo, ma la testimonianza onesta e accorata di una giornalista sul campo.

«Nascoste, invisibili, assenti: non si vedono donne a Jalalabad» è l’attacco del suo articolo più conosciuto, che ha scritto il giorno prima della sua uccisione, avvenuta il 19 novembre del 2001, e in cui racconta il ritrovamento di un deposito di gas nervino in una base abbandonata dai terroristi di Al Qaeda. «La liberazione della città afghana dai talebani – continua – ha portato nelle strade migliaia di miliziani armati, bande ubriache di vittoria, pronte a contendersi il controllo del territorio sino all’ultimo vicolo o all’ultima casa. Non ci sono donne tra chi fa la guerra, gestisce il potere, decide il futuro. In un’intera mattinata, appaiono tra le botteghe del suk solamente tre sagome avvolte nel burqa, dal passo silenzioso e discreto, coperte come sempre dietro la cortina di un poliestere».

Sono bastate queste poche righe a trasportarmi in Afghanistan, la terra alla quale Maria Grazia era più affezionata, tanto che alcuni amici la chiamavano scherzosamente “la regina del Cutulistan”. In quelle frasi sono evocati anche i diritti delle donne, tema molto caro all’inviata del “Corriere della Sera”, che si batteva per affermare il suo diritto, in quanto donna, di recarsi in zone dilaniate dalla guerra.

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domenica 8 Settembre 2024