Barbonismo domestico: storie d’invisibile emarginazione

Si narra che Diogene di Sinope, il sapiente cinico intorno alla cui figura «fiorì una vasta letteratura di aneddoti», si convinse della necessità di vivere mirando alla autarkeia, la completa autosufficienza rispetto ai bisogni «indotti dalla vita in società». Dopo lunghe riflessioni filosofiche, scelse un’esistenza in povertà, controcorrente e marginale rispetto a quella del cittadino integrato nella vita della polis.

Oggi, il nome del filosofo greco si utilizza per descrivere una sindrome che sta, silenziosamente, prendendo sempre più piede nei paesi del “primo” mondo. Questo disturbo psicologico e comportamentale provoca una noncuranza della propria igiene personale che può estendersi anche ad una carenza di igiene domestica o, ancora, ad un accumulo compulsivo di oggetti ed immondizia.

Tali comportamenti si riflettono inevitabilmente anche sulle relazioni sociali: chi è affetto dalla sindrome di Diogene spesso non frequenta parenti, non ha amici e tende ad emarginarsi ed isolarsi in casa, uscendo di rado e vivendo una vita paragonabile a quella di un senzatetto.  E, seppure il barbonismo domestico possa sembrare molto lontano dalla vita delle persone “comuni”, è molto più frequente di quanto si creda ed è diffuso in maggior misura nelle grandi città. Nel 2017, il quotidiano “l’Adige” raccontava la storia di un sessantenne di Povo (Trento), un pensionato risucchiato dal dramma della «povertà relazionale», che lo aveva isolato nella propria abitazione fra pile di piatti non lavati da mesi ed oggetti accumulati. A segnalare tale situazione, i vicini di casa, allarmati dall’odore e «dalla presenza di grossi ratti nelle vicinanze».

A fare i conti con una realtà ancor più preoccupante è invece la città di Roma, che nel 2016 contava ben seicentosessanta casi verificati di barbonismo domestico. La Caritas della capitale, dopo anni di lavoro sul campo, nel 2018 avviava insieme al Comune un progetto di riabilitazione che da un lato mirava ad instaurare un dialogo con sessanta casi limite, volto alla risoluzione di tali situazioni, e dell’altra avviava una cruciale riflessione sul problema: «si tratta in maggior misura di anziani, soli e malati. Persone con patologie psichiatriche o psichiche di diversa natura, ma tutte socialmente inabilitanti. La solitudine che è dentro a queste storie marca la qualità di queste esistenze», scriveva Massimo Pasquo, responsabile del servizio “Aiuto alla persona” della Caritas di Roma: «Una situazione complessa, spesso difficile e sicuramente indicativa di un bisogno di rivedere il nostro modo di essere città, territorio, comunità ecclesiale, testimoni di possibilità e di inclusività. Quello che stiamo vedendo, ascoltando, sentendo, deve diventare strumento pedagogico di cambiamento».

Chissà se un giorno la nostra società riuscirà a vedere più prontamente quanto si cela sotto la punta dell’iceberg, fornendo mezzi per prevenire (o curare) quel drammatico senso di solitudine, che oggetti e rifiuti illudono di colmare.

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domenica 8 Settembre 2024