L’emozione del Poetry Slam: intervista a Lorenzo Maragoni
Il Poetry Slam è una disciplina artistica che unisce la poesia alla performance, trasformando l’espressione poetica in un’esperienza immersiva e partecipata per il pubblico. Abbiamo avuto l’occasione di incontrare e intervistare Lorenzo Maragoni, campione del mondo di Poetry Slam, per farci raccontare qualcosa in più su questo mondo in versi.
Lorenzo, sei campione del mondo di Poetry Slam. Guardandoti indietro sapresti dirci qual è il momento in cui tutto è iniziato?
La prima volta che sono entrato in contatto con il mondo del Poetry Slam ero a Portogruaro a seguire un amico, Diego Scantamburlo, che lo praticava. Ho visto che era un posto pieno di persone giovani che facevano poesia, che applaudivano la poesia, che stavano con i poeti con una partecipazione e un entusiasmo che a teatro raramente vedevo. E quindi mi sono detto “ok, a questa cosa voglio partecipare”.
E guardandoti oggi, come ti senti rispetto a quando tutto è iniziato?
Nel corso del tempo è cambiato sicuramente il mio modo di scrivere. All’inizio si trattava di prendere delle poesie scritte come poesie e leggerle; poi mi sono reso conto che il Poetry Slam è proprio un linguaggio a sé, che ha sicuramente molto a che vedere con la poesia scritta, ma non solo. In questa disciplina si scrive già pensando a un’interazione con il pubblico, al modo in cui si diranno le cose, con che velocità, che ritmo, che prosodia e così via. A questo riguardo ho, adesso, maggiore consapevolezza. Però, c’è qualcosa che non è mai cambiato: salire sul palco per fare un Poetry Slam per me è una delle esperienze ad oggi più emozionanti. Sei lì con i tuoi testi e non hai nessun altro con te, non hai un copione, non hai una storia, non hai una scenografia o una musica o qualcosa a cui appoggiarti, sei solo tu in relazione con il pubblico.
Parliamo proprio del pubblico. Nel Poetry Slam sussiste uno stretto legame con spettatori e spettatrici, diversamente da altre espressioni artistiche. Ci puoi parlare del rapporto che si crea?
Il pubblico del Poetry Slam crea un’atmosfera sempre molto familiare e calda. Questo accade perché l’interazione è costante: sono spettatrici e spettatori a votare dopo ogni performance. Si tratta di un pubblico che fa rumore, che partecipa, ma che è tutto a favore di quello che sta vedendo. La competizione c’è ma si tratta di un pretesto: che si prenda 6, 7, 8 poco cambia, il Poetry Slam si fa principalmente per condividere le proprie poesie. Spettatori e spettatrici di questa disciplina hanno fame di autenticità, apprezzano quando il poeta o la poetessa racconta qualcosa che fa genuinamente parte del suo mondo, della sua vita, della sua biografia o del suo sguardo sugli aspetti sociali, politici ed esistenziali del mondo. Quando si va a toccare un aspetto che è personale ma che contemporaneamente è di tutti, si sente che sta succedendo qualcosa di magico. Inoltre, mi viene da dire che si tratta di un pubblico che risponde molto bene anche alla parte ironica e umoristica, è molto affezionato e di solito segue costantemente gli spettacoli, porta gli amici ed espande la comunità, è di base molto giovane, ma include tutte le età e tutte le provenienze, non è intellettuale o elitario.
Ricollegandoci ai temi che vengono trattati, come ci puoi descrivere la forza del Poetry Slam – rispetto ad altre forme d’arte – nel portare in scena temi sociali, ambientali e d’attualità?
Io credo che di poesia non ne serva tanta e non serva spesso, ma quando serve, serve tanto. Ci sono situazioni di difficoltà, di dubbio, ma anche di gioia dove mi piace pensare che la poesia possa arrivare. Uno dei maggiori esponenti della disciplina dice che c’è qualcosa, nel salire sul palco, di disarmante. Il pubblico vede nel poeta qualcuno di disarmato, proprio perché non c’è storia, non c’è copione, non c’è costume. E di solito quando noi ci troviamo qualcuno davanti che ci appare come disarmato, ci disarmiamo a nostra volta. E quindi lasciamo entrare, siamo più persone e meno spettatori, stiamo meno a guardare, a valutare, meno su un piano mentale e più su uno di cuore e di pancia. Quando si tratta di temi sociali, politici, ambientali, credo che tutto – libri, non-fiction…– concorra, e che in questo mosaico la poesia assuma il ruolo di darci il permesso di sentirci disarmati.
A Trento vengono organizzati spesso eventi di Poetry Slam, cosa pensi di questo terreno fertile e qual è il tuo legame con la città?
La scena di Trento a me piace tantissimo, funziona molto bene e non è un caso, trattandosi di una città universitaria e ricca di cultura e arte. Ci sono due collettivi principali, Trento Poetry Slam e AltroVerso, con i quali ho avuto modo di collaborare e che credo facciano un lavoro molto intenso e capillare. Nel Poetry Slam è veramente questione di sentirsi parte: quello che devono sentire le persone è che la porta è sempre aperta, sia che vogliano fare da spettatori, sia il giorno che vogliano provare a cimentarsi come poeti e poetesse. Non viene fatta nessuna domanda sul percorso, non serve avere un curriculum o qualcosa che ti dia il diritto di salire sul palco, già il fatto che tu senta di volerci salire è sufficiente. Mi sembra che a Trento si creino degli spazi in cui le persone si possano sentire così, sia in contesti aperti come open mic e poetry slam, sia in situazioni più strutturate dove vengono invitati artisti che hanno fatto un percorso nell’ambito della poesia performativa, come le rassegne di spettacoli organizzate allo Spazio Off e i festival come Poè.
Ognuno di noi, come dicevi, può salire sul palco del Poetry Slam. Si tratta, quindi, di una disciplina che si impara facilmente perché deriva da come ci si sente, o è paragonabile all’imparare uno strumento per talento ed esercizio?
La riflessione è molto ampia. Il bello del Poetry Slam è il suo livello inclusivo e partecipativo, senza alcuna barriera di ingresso. Nel momento in cui uno vive la poesia come espressione di sé, come possibilità di condividere la propria storia personale, un modo di sentirsi o un punto di vista sul mondo, non c’è bisogno di preparazione tecnica o di imparare le basi. Dall’altro lato, però, il pubblico non risponde ugualmente a tutte le poesie e riconosce il percorso di chi ha sviluppato e approfondito il modo di fare poesia. Può sembrare molto semplice, ma in realtà ci sono accortezze, c’è un percorso di ricerca, nella scrittura, nell’individuazione dei temi, nel modo di esprimersi: si tratta di costruire il proprio linguaggio. E queste sono vere e proprie competenze che si possono apprendere. Non è necessario che questo avvenga, la poesia come forma di espressione rimane sempre valida. Ma nel momento in cui si vuole fare un percorso artistico o utilizzare la poesia come forma di comunicazione, chiedendosi cosa può dare a un pubblico, ci sono competenze da sviluppare, piccole cose che però poi fanno la differenza.
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lunedì 30 Dicembre 2024